Al giorno d’oggi se non conosci il pistacchio di Bronte, non sei nessuno. Almeno così pare, come se conoscere questo frutto volesse dire: “io me ne intendo di cibo, conosco prodotti rari, sconosciuti e di nicchia,”. E il Pistacchio di Stigliano, invece, quanti lo conoscono? Oggi vi portiamo alla scoperta del pistacchio italiano e di queste due coltivazioni di nicchia: ognuna con le sue caratteristiche rappresenta una ricchezza per il nostro patrimonio agroalimentare e per la tutela della biodiversità. Anche perché l’Italia è passata da una produzione di circa 2.400 tonnellate nel 2005 a una di quasi tremila attuali, diventando il settimo produttore al mondo di pistacchio.
Ma partiamo dalle basi: che cos’è il pistacchio e come si coltiva?
La pianta del pistacchio
Si tratta di un albero molto longevo, che può vivere fino a 300 anni. Anche il suo frutto si chiama pistacchio e compare già con questo nome sia nell’Antico Testamento come dono pregiato, sia in diversi testi greci, che ne collocano la coltivazione in Siria, Persia e India. La varietà più diffusa oggi in Italia è la Bianca, chiamata anche Napoletana o Nostrale; poi ci sono altre cultivar quali Cappuccia, Cerasola, Insolia, Silvana, Femminella, fino alle più recenti introdotte sul mercato italiano, come Kern, Red Aleppo e Larnaka. L’albero del pistacchio fiorisce in primavera, di solito intorno al mese di aprile, mentre i frutti si iniziano a raccogliere da fine agosto a inizio ottobre. Dopo aver tolto il mallo che copre il guscio entro 24 ore, durante la cosiddetta operazione della “smallatura”, i pistacchi vengono esposti al sole ad una temperatura di circa 40°-50°gradi, per la fase finale dell’essiccazione, quella stessa che consente la loro conservazione nel tempo. Infine, l’eventuale operazione di pelatura e sgusciatura può essere effettuata anche meccanicamente.
La grande ricchezza di questa coltura, a differenza ad esempio dell’ulivo, è che non presenta problemi di difesa fitosanitaria e non ha grandi esigenze idriche; eppure la sua resa è davvero altissima. Ve lo dimostrano il Pistacchio di Bronte prima e il Pistacchio di Stigliano, lentamente, dopo.
Conosciamoli meglio.
Pistacchio italiano: due varietà pregiate
Il pistacchio di Bronte
Il pistacchio di Bronte è in realtà anche di Adrano e Biancavilla, sempre in provincia di Catania, alle pendici dell’Etna. Si trova in questo perfetto habitat mite e mediterraneo, dal 900 d.C. circa, quando fu portato dagli arabi. Negli ultimi anni è diventato molto di moda, tanto che viene chiamato “l’oro verde” proprio per il suo alto valore commerciale, cresciuto esponenzialmente dai 40 euro circa al kg in loco fino anche ai 96 euro, sempre al kg, nei negozi del made in Italy, come Eataly. Di certo non è un successo immotivato, vista la sua immensa qualità, forse data da quei terreni lavici su cui crescono i pistacchieti. Fatto sta che oggi il pistacchio di Bronte è un ingrediente imprescindibile e fondamentale di quasi ogni stellato che si rispetti. Dunque è importante imparare a riconoscerlo: come?
I pistacchi di Bronte già sgusciati devono essere tassativamente di forma allungata e poco compressa, proprio come un’oliva, mai tondeggianti. Un’altra caratteristica, che lo distingue, ad esempio, da quello greco, è il colore: all’esterno un guscio rigido violaceo dall’aspetto legnoso, al suo interno un frutto verde smeraldo, così intenso a causa dell’elevata concentrazione di clorofilla. A volte è più acceso, a volte più tenue, ma l’importante è che non sia mai giallo! Infine, il gusto: il pistacchio di Bronte tende molto al dolce, infatti non viene mai né salato né tostato, proprio per l’aromaticità che lo contraddistingue. Se volete andare sul sicuro, controllate sempre che ci sia la denominazione completa di “Pistacchio verde di Bronte DOP”, e non solo Bronte o Etna o Sicilia: è l’unica che vi garantisce due piccioni con un pistacchio, ovvero qualità e provenienza.
Il Pistacchio di Stigliano
Se in tavola arriva il pistacchio di Stigliano, non vi va certo male! Infatti, una nota leggenda racconta che basta anche solo uno di questi pistacchi per portare il buon umore e la gioia di vivere. La sua storia nasce negli anni ’90, quando il fondatore Innocenzo Colangelo decise di andare in Grecia per valutare la possibilità di importare questo tipo di coltivazione in Basilicata.
Dunque, il pistacchio di Stigliano non è originariamente italiano; ma quanti prodotti che oggi ormai abbiamo fatto nostri sono stati in realtà importati e introdotti a pieno titolo nella nostra cucina? Forse, tra un secolo, si parlerà del Pistacchio di Stigliano con la stessa familiarità con cui parliamo di pomodoro e patate. Certo è che i cinque ettari di terreno stanno dimostrando quanto buona e ricettiva sia l’area di Stigliano, che da anni regala una sorprendente produzione lorda che ha raggiunto un’importanza ben oltre i confini nazionali. C’è da dire che siamo in un pezzo di Italia unico, perché Stigliano si trova tra le Dolomiti Lucane, i calanchi di Aliano, le lamie di Pisticci, Craco, tutto in provincia di Matera. Credevate esistesse solo il pistacchio di Bronte, eh?
La presentazione di questi due tipi di pistacchio italiano ci porta anche a riflettere in generale sulle varietà autoctone, di cui oggi si fa un gran parlare: secondo voi un prodotto originariamente non di quel territorio, come il pistacchio di Stigliano importato dalla Grecia, può comunque diventare parte di un territorio nel corso del tempo, oppure no?
Non ci resta forse che cucinare alcuni piatti per provare entrambe le varietà, utilizzate sia in pasticceria, per preparare gelati, creme e bevande, sia per la produzione di salumi come la mortadella di Bologna, che per primi o secondi piatti. Noi oggi vi proponiamo: penne ricotta, speck e Pistacchio di Bronte, oppure penne ricce con zucchine, Pistacchio di Stigliano e cacioricotta lucano.
Cosa preferite? Fateci sapere!