Il cosiddetto gambero killer da qualche anno è balzato agli onori della cronaca, guadagnandosi una fama sinistra da mostro delle paludi. Questo crostaceo d’acqua dolce, originario della Louisiana, venne importato in Italia a scopo alimentare, ma per diverse ragioni il suo allevamento fu abbandonato. I gamberi americani, aggressivi e molto prolifici, in pochi anni sono però riusciti a colonizzare le nostre acque interne, con esiti nefasti per gli ecosistemi. La nomea di ‘killer’ sarebbe infatti motivata dal loro impatto distruttivo sugli altri animali e sulla biodiversità, aggravato dal fatto che questi crostacei sono portatori sani della ‘peste del gambero’. La possibile tossicità dovuta al loro consumo alimentare completa un quadro piuttosto inquietante.
L’abbondanza di questi animali e la volontà di limitarne la diffusione ha però invogliato molti amanti della pesca a mangiarli, abitudine generalmente sconsigliata per il rischio di nocività accennato poc’anzi, tuttavia non ancora spiegato dagli organi d’informazione. Dopo esserci occupati dei casi di pesce pangasio inquinato, questa volta approfondiremo la vicenda del gambero killer, entrando nel tema finora poco battuto della pesca amatoriale a scopo alimentare. Per capire meglio gli aspetti scientifici, abbiamo interpellato due esperti: Patrizia Hrelia, tossicologa dell’Università di Bologna, e Gianluca Zuffi, biologo.
Il gambero killer
In Europa si è rivelato un “killer”, ma il gambero rosso della Louisiana (Procambarus clarkii) negli Stati Uniti meridionali è apprezzato in cucina e protagonista di varie ricette. La storia legata alla diffusione di questo crostaceo, curiosa ed emblematica, dimostra come l’irresponsabilità dell’uomo possa facilmente causare danni all’ambiente, difficili da valutare in tutte le loro conseguenze e pressoché impossibili da rimediare totalmente. Il dottor Gianluca Zuffi – insieme a Giovanni Rossi e Andrea Marchi – è tra i fondatori di Hydrosynergy, società spin-off dell’Università di Bologna che si occupa di gestione della fauna ittica, monitoraggio e riqualificazione ambientale. Con il suo aiuto ne sapremo di più sulle caratteristiche e sull’impatto ecologico del gambero killer.
Identikit del ‘killer’
Il gambero della Louisiana, che può raggiungere i venti centimetri di lunghezza, si riconosce per il colore rosso scuro, per il carapace ruvido e per la presenza di una spina alla base delle chele. Incontriamo il dottor Zuffi al piano interrato dell’edificio che ospita il Museo di Zoologia di Bologna, davanti a un acquario abitato proprio da un esemplare del famigerato gambero. L’intervistato precisa subito che dal punto di vista ecologico questo crostaceo “è molto impattante per tutte le forme di vita autoctone e si tratta di una delle specie più invasive sul nostro continente, come riconosce la Comunità europea. A causa della provenienza extraeuropea, inoltre, la presenza di questo animale è ancor più monitorata rispetto ad altre specie invasive continentali, come il pesce siluro”.
Il gambero killer ha ormai colonizzato gran parte dei laghi e dei fiumi a corso lento d’Italia e d’Europa. Si trova facilmente anche nelle risaie, nei piccoli canali e nei fossi. Come dice il biologo, “è abilissimo nella vita in acqua, dalla quale può anche uscire e allontanarsi per decine di metri. Il suo ciclo riproduttivo è semplice, veloce e molto efficace. In condizioni ideali può riprodursi fino a tre volte all’anno, per un totale di circa 600 uova, mentre il gambero di fiume autoctono non supera le 60-80 uova”.
Mangia di tutto
Indicando l’acquario, l’intervistato aggiunge una nota apparentemente inquietante. “Siamo riusciti a farli riprodurre in questa vasca, anche se poi i neonati si mangiano fra di loro, perché sono estremamente voraci. Questo gambero – come molti altri pesci e crostacei – è cannibale, aspetto che abbiamo verificato anche osservando il nostro acquario. Può nutrirsi di qualsiasi cosa gli capiti a tiro, vegetali e animali vivi o morti di qualsiasi tipo.” Non a caso, nelle acque dove è più alta la concentrazione di gamberi americani le rane sono pressoché assenti.
Aggressivo e spavaldo
Zuffi descrive più dettagliatamente il comportamento del gambero killer, che è “estremamente invasivo, curioso, aggressivo e litigioso, tanto da spingersi contro animali molto più grandi di lui, anche fuori dall’acqua. Ad esempio, si è osservato che se viene messo a contatto con il granchio di fiume, più grande e forte, non esita ad attaccarlo. Questo atteggiamento, anche se molte volte lo porta ad avere la peggio, lo favorisce nella colonizzazione di nuovi spazi. La strategia di sopravvivenza di questo crostaceo, quindi, punta sui grandi numeri”.
Resiste a tutto, o quasi
Gianluca Zuffi descrive una caratteristica evidenziata spesso parlando del gambero killer, ovvero che “sopporta l’inquinamento e la salinità delle acque, tanto da potersi spingere anche verso le foci dei fiumi. Anche se esistono pesci ancor più resistenti, questo crostaceo è certamente uno degli ultimi animali ad abbandonare un luogo di vita per eccessivo inquinamento. Inoltre, nei numerosi scontri che sostiene e difendendosi dai suoi predatori, il gambero della Louisiana può perdere le chele. Un po’ come succede alle lucertole che perdono la coda, questi arti ricrescono al successivo cambio di muta”.
Zuffi sottolinea un altro aspetto che rende il gambero killer particolarmente pericoloso per i nostri ecosistemi. “Questo animale è portatore sano della cosiddetta peste del gambero, dovuta al fungo Aphanomyces astaci, che uccide facilmente il nostro gambero di fiume. Gli esemplari americani, invece, si sono coevoluti con questo fungo, selezionandosi per resistere a una malattia che in Europa era sconosciuta.” Si tratta di un caso simile a quello della fillossera, afide di origine americana che alla fine dell’Ottocento sterminò le viti europee, come abbiamo ricordato in un precedente approfondimento sui frutti dimenticati.
Punti deboli
Anche se, come abbiamo visto, il gambero killer è un animale molto resistente, non è comunque privo di punti deboli. Il dottor Zuffi puntualizza che “i predatori autoctoni si stanno adattando alla presenza del gambero della Louisiana. Secondo una recente teoria, ultimamente gli aironi si stanno diffondendo molto proprio grazie all’abbondanza di questi gamberi, che vivendo nelle zone paludose con poca acqua sono facili prede, anche grazie al loro colore. Inoltre, alcuni pesci li mangiano, come il persico trota – pesce alloctono – l’anguilla e soprattutto il siluro. Abbiamo curato una tesi sui contenuti stomacali dei siluri recuperati, certificando che più della metà della loro dieta era costituita dai gamberi della Louisiana”.
Oltre a questo, il biologo aggiunge che il gambero killer “soffre l’acqua corrente. La velocità di corrente potrebbe essere uno dei veri limiti di questo animale, come si è già osservato. D’altronde il gambero della Louisiana si è adattato per vivere nelle aree paludose degli Stati Uniti meridionali, e il suo modo di fare aggressivo e iperattivo lo penalizza notevolmente in presenza di acque mosse. Il gambero autoctono, invece, si è evoluto per vivere in acqua fredda torrentizia, non a caso è meno mobile e tende ad essere molto più prudente”.
Il nostro gambero di fiume
Gianluca Zuffi sottolinea l’importanze di preservare e recuperare le popolazioni del gambero di fiume autoctono, gravemente minacciate dall’inquinamento, dalla presenza del gambero killer e dalla ‘peste’ da esso introdotta. “Il nostro gambero di fiume, l’Austropotamobius pallipes, oggi purtroppo è abbastanza raro e noi lo alleviamo a scopo di ripopolamento. Si tratta di un animale più delicato, molto meno prolifico, sensibile alle variazioni climatiche e alle alterazioni ambientali. La sua presenza in Italia, compresa la pianura padana, è attestata anche da evidenze storiche. Ad esempio, sullo stemma comunale di Cento, in provincia di Ferrara, è presente un gambero che potrebbe essere proprio di questa specie. Ci sono diversi indizi che suggeriscono una loro presenza molto maggiore in passato rispetto ai giorni nostri, dove invece possiamo trovarli soprattutto in montagna e in collina, mentre in pianura sono presenti solo nelle zone di risorgiva, come quelle del Friuli Venezia Giulia”.
Gambero killer: come si è diffuso?
L’onnipresenza del gambero killer nelle acque interne italiane spinge a chiedersi come si sia potuta concretizzare una diffusione così rapida e capillare. L’intervistato sottolinea che “il Procambarus clarkii è stato originariamente introdotto per fini alimentari, dapprima in Toscana, nel Lago di Massaciuccoli, e in Piemonte. Quando è stato importato era impossibile non pensare che sarebbe potuto fuggire, per di più la commercializzazione di questo prodotto in Italia non ha mai preso piede”. Come vedremo in seguito, l’insuccesso commerciale del gambero della Louisiana sarebbe dovuto anche alla sua possibile tossicità.
“Le cause della diffusione e degli spostamenti del famigerato crostaceo sono da attribuirsi soprattutto all’attività umana, come è avvenuto per altri pesci d’acqua dolce. L’essere umano ha sempre spostato animali, piante e semi, spesso senza pensare alle conseguenze. Gli spostamenti, però, possono essere anche fortuiti, come nel caso dei trasporti di materiale in itticoltura o durante la pesca. Prelevando del pesce può capitare di asportare anche altre specie – con le loro uova – oltre a quelle desiderate. Inoltre, certi uccelli possono spostare involontariamente le uova, che possono attaccarsi alle zampe”.
Anche nelle isole
Il gambero killer è presente anche in aree difficilmente raggiungibili, come le isole più distanti dall’area continentale. I bacini della Sardegna, ad esempio, sono stati colonizzati da alcuni anni. Oltre ai motivi appena elencati, anche le immissioni causate dalla pesca sportiva possono aver avuto un ruolo da non sottovalutare. Zuffi precisa che “la Sardegna è famosa per essere ricca di invasi artificiali dove il persico trota americano, o black bass, ha trovato un ottimo habitat. Questa preda ha contribuito a rendere i laghi sardi mete ambite per il pescaturismo. Il gambero della Louisiana, in quanto cibo prediletto dal black bass, può essere stato introdotto come esca, e sappiamo che nel giro di pochi anni questi crostacei possono colonizzare nuovo ambienti”.
Gambero killer e acquariofilia
“Può sembrare strano, ma il gambero killer ha molti estimatori tra gli appassionati di acquari”, dice Zuffi mostrando un curioso gruppo su Facebook. Come è avvenuto per le tartarughe americane dalle guance rosse – spesso presenti nei laghetti dei parchi pubblici – gli abbandoni di questi animali dopo una vita in acquario possono aver rappresentato un ulteriore veicolo di diffusione, meno sospettabile ma comunque da considerare. L’intervistato aggiunge che “in questo mondo c’è molta confusione, talvolta in acquariofilia i gamberi vengono chiamati con nomi diversi, anche perché ci sono tante specie e sottospecie simili diffuse fra gli appassionati, tutte potenzialmente molto dannose. Ci sono gamberi australiani grandi come aragoste…”. Ad ogni modo, il Regolamento europeo 1143/2014 sul contenimento delle specie invasive vieta il trasporto, l’allevamento, la detenzione, lo scambio, la vendita e rilascio in natura del gambero killer.
Come limitarli?
Per le sue caratteristiche, è facile capire quanto possa essere complicato gestire e limitare il gambero killer. Gianluca Zuffi cita Life – Sci d’acqua – primo progetto realizzato sull’appennino bolognese e al quale hanno lavorato Hydrosynergy e l’Università di Bologna – e Life Rarity, iniziativa curata dall’Università di Trieste e premiata a Bruxelles nel 2016 fra i piani europei in difesa della biodiversità. “Life Rarity prevedeva la cattura dei gamberi della Louisiana, oltre all’allevamento e alla distribuzione in natura dei gamberi di fiume autoctoni. Si proponevano anche attività satellite basate sull’uso alimentare dei gamberi americani, come delle sagre a essi dedicate, allo scopo di diffondere il più possibile l’abitudine di mangiarli”.
“L’idea, apparentemente interessante, potrebbe rivelarsi un boomerang per la lotta alla diffusione di questi animali. Infatti, l’eventuale affermazione del consumo alimentare potrebbe comportare una nuova spinta all’allevamento, semplice ed economico, più che un’efficace forma di contrasto al gambero della Louisiana. Tuttavia, sarebbe importante individuare una destinazione d’uso per gli esemplari catturati. Ad ogni modo, ritengo che realisticamente sia impossibile eliminare del tutto il gambero killer dal nostro territorio, ciò che possiamo fare è tentare di contenerlo”. L’uso alimentare, al quale si riferisce l’intervistato, è un’abitudine abbastanza recente, cresciuta soprattutto come risposta alla grande diffusione dell’animale. Ora vedremo se il gambero killer si può mangiare o se le sue carni possono essere nocive.
Il gambero killer si può mangiare?
Pur non essendo la soluzione definitiva per limitare i famigerati gamberi, la possibilità di mangiarli attira molti pescatori e amanti delle esperienze culinarie diverse dal solito. Tuttavia, da tempo si parla della possibile tossicità di questo animale, aspetto che ovviamente scoraggerebbe l’assaggio. Per avere un quadro completo, abbiamo interpellato la professoressa Patrizia Hrelia, presidente della Società italiana di Tossicologia e coordinatrice del dottorato di ricerca in Scienze farmacologiche e tossicologiche, dello Sviluppo e del Movimento umano.
È tossico?
La professoressa Hrelia precisa che il gambero killer “di per sé non è tossico, ma se l’ambiente in cui vive è fortemente contaminato, può accumulare una serie di sostanze tossiche all’interno del suo organismo. In questo caso, una volta ingerito potrebbe creare delle sintomatologie a livello umano. Se i gamberi sono allevati in un’azienda certificata e sottoposta a un adeguato controllo sanitario, rappresentano un alimento sicuro e salubre per il consumatore. Se invece sono catturati in un ambiente esterno non possiamo avere queste garanzie. L’habitat nel quale vivono questi animali può subire l’abbandono di reflui industriali, oppure essere soggetto a fioriture algali in grado di produrre tossine. Pertanto, ci sono dei livelli di contaminazione di cui può essere responsabile il comportamento umano e altri che dipendono dalla natura”.
“In Italia, recentemente, siamo venuti a conoscenza di fenomeni di eutrofizzazione (sovrabbondanza di sostanze nutritive che si rivela nociva per un ecosistema, ndr), dovuti all’inquinamento e ai cambiamenti climatici. In presenza di queste condizioni ambientali il gambero può diventare un vettore attraverso cui l’essere umano viene a contatto con sostanze tossiche”. Pertanto, aggiunge l’intervistata, “bisogna distinguere il problema ecologico dal problema tossicologico, che deriva unicamente dal fatto che questi animali possono crescere e riprodursi in siti dove sono presenti contaminanti pericolosi per l’essere umano. I rischi, chiaramente, dipendono dalle tipologie delle sostanze”.
Le acque interne italiane sono a rischio?
Queste affermazioni portano a chiedersi se i laghi e i corsi d’acqua nel nostro territorio possano essere soggetti a un inquinamento in grado di compromettere la salubrità degli animali che ci vivono. “Nelle acque possono confluire gli scarichi industriali, e con il dilavamento del terreno possono aggiungersi metalli pesanti, diossine, policlorobifenili (PCB) e residui di fertilizzanti. Per questo esiste una normativa estremamente rigorosa sulla sicurezza alimentare, che definisce i livelli massimi permissibili di contaminanti ambientali inevitabili in quelle che diventano le nostre matrici alimentari”.
La tossicologa aggiunge che “se tutti gli agricoltori e le industrie responsabili dello smaltimento dei rifiuti seguissero strettamente le normative sull’inquinamento e sulla tutela della salute umana, il rischio di contaminazione sarebbe relativo. Ma è anche vero che viviamo in un mondo globalmente inquinato, dove non tutti rispettano le leggi e dove non esistono barriere per la contaminazione. Le sostanze presenti nell’aria e nell’acqua entrano nel ciclo ambientale e non trovano confini. Nelle nostre matrici ambientali ci sono degli inquinanti che purtroppo sono inevitabili. L’essere umano, però, non deve contribuire con le sue attività”.
Le tossine prodotte dalle alghe
Oltre alle sostanze inquinanti dovute all’attività umana, a preoccupare sono anche delle particolari tossine prodotte dalle alghe, che sarebbero tra i motivi della dismissione dell’allevamento del gambero killer in Italia. La professoressa Hrelia spiega che “in condizioni ambientali caratterizzate da temperature e umidità elevate, alcune micro-alghe fioriscono, producendo tossine dovute al loro metabolismo. Si verificano casi analoghi di eutrofizzazione anche con le alghe marine”.
“Nelle acque dolci possono fiorire le alghe cianofite, di colore verde-blu, favorendo l’anossia, una grave carenza di ossigeno che si ripercuote sulle specie ittiche, fino a occluderne le branchie. Le creature che vivono in queste acque, inevitabilmente, finiscono per ingerire le micro-alghe e le sostanze da esse prodotte. I mitili, organismi filtratori, accumulano facilmente le tossine, che possono trasferirsi ai predatori così come ad altri pesci e, se queste specie sono edibili, possono arrivare all’essere umano, interessando tutta la catena alimentare”. Su questo aspetto il dottor Zuffi aggiunge che il gambero killer “è un trituratore, ovvero può rompere, sminuzzare e ingerire gli oggetti di cui si nutre. Un’alga unicellulare e le tossine da essa prodotte possono essere ingerite. Pertanto, se l’acqua in cui vive è contaminata, questo animale inevitabilmente verrà a contatto con le sostanze nocive”.
La pulitura e lo spurgo servono?
Secondo diverse teorie, un periodo di spurgo dei gamberi in acque pulite con un’alimentazione controllata o l’eliminazione della parte intestinale al momento della pulitura eviterebbero i rischi citati poc’anzi. Secondo l’intervistata “la situazione cambia in base agli animali. Nel caso del gambero, le tossine algali si localizzano soprattutto nell’intestino, quel filetto nero lungo il corpo dell’animale che di norma viene eliminato con la pulitura. Anche se parliamo di quantità limitate, bisogna ricordare che queste sostanze sono attive a livelli di concentrazione estremamente bassi. Il rischio non va trascurato, perché possono avere effetti estremamente importanti, sono stabili, possono permanere in acqua a lungo e hanno meccanismi di tossicità complessi. Per questi motivi, è meglio rivolgersi a un prodotto la cui sicurezza sanitaria è stata accertata dagli enti regolatori”.
Il pesce allevato è più sicuro
La professoressa prosegue parlando delle maggiori garanzie offerte dal pesce allevato e della legislazione in materia, che “è un adeguamento alla normativa europea e prevede valori limite per ciascuna micotossina algale in ogni matrice alimentare. Per le acque da itticoltura ci sono limiti precisi per i molluschi e per i pesci. Pertanto, per avere la massima sicurezza alimentare, il consiglio è di acquistare alimenti nei canali di distribuzione che assicurano una certificazione sanitaria del prodotto, al netto dei casi di contraffazioni, ai quali purtroppo comunemente assistiamo. Quindi, almeno per il consumo più frequente, è sempre meglio comprare nelle rivendite di fiducia o sui banchi del supermercato anziché andare alla pesca del gambero killer”.
Gli animali d’acqua dolce sono più pericolosi?
La professoressa Hrelia afferma chiaramente che “gli animali d’acqua dolce non sono più pericolosi di quelli di mare. Il discorso sulle possibili contaminazioni è uguale e trasversale, e non esistono alimenti completamente privi di contaminanti. Non c’è una specie da temere in particolare. Su questo tema il dottor Zuffi definisce alcuni aspetti. “Nel valutare il bioaccumulo di sostanze inquinanti, vanno considerati l’ambiente di vita, l’età e la taglia dell’animale – più è grande e anziano e più avrà mangiato – e la sua posizione nella catena alimentare. Gli animali in cima alla catena e quelli che mangiano tutto, come il gambero della Louisiana, sono più soggetti ad accumulare”.
La tossicologa aggiunge una precisazione. “Ad esempio, se saltuariamente si fa un pasto con il pesce pescato nel Po, immagino che nessun animale possa raggiungere livelli di contaminazione tali da creare un effetto acuto e immediato. Ma dato che dipendiamo dall’alimentazione dal primo all’ultimo giorno di vita, è sempre meglio ridurre i fattori di rischio e mangiare prodotti certamente salubri sul piano sanitario”.
Chi l’ha mangiato dice che…
Alla luce delle considerazioni presentate finora, non resta che riportare le impressioni di chi, almeno una volta, ha mangiato il famigerato crostaceo. Chi scrive ha assaggiato sia il gambero killer sia il pesce siluro, senza pentirsene. Lo stesso vale per il dottor Zuffi, che dice “non sono stato male e se mi ricapitasse lo mangerei di nuovo. La quantità di carne è scarsa, anche se il discorso cambia con gli esemplari più grossi. Prima di cucinarli, i gamberi vanno puliti con cura. Rispetto a quelli di mare sono meno saporiti perché vivono in acqua dolce, però sono abbastanza buoni. Ho mangiato anche il pesce siluro e vorrei provare la nutria, che in Sud America viene mangiata abitualmente”.
Effettivamente il gambero killer è gustoso e si presta a diverse preparazioni. Nella cucina creola e nella tradizione cajun della Louisiana compare fra gli ingredienti di varie ricette. Chiaramente, gli animali devono provenire da ambienti non inquinati, anche se, come abbiamo visto, la pesca non può fornire tutte le garanzie dell’allevamento controllato. Lo stesso discorso vale per il siluro, che nella cucina ungherese è considerato una prelibatezza, non senza motivo.
Si pesca facilmente
Catturare il gambero killer è piuttosto facile, grazie alla voracità e alla sovrabbondanza di questa specie in molte zone d’Italia. Il suo colore costituisce un altro vantaggio per individuarlo. Gianluca Zuffi aggiunge che “nei canali lo si pesca facilmente usando come esca un pezzo di fegato, ad esempio. Il gambero si attacca con le chele e bisogna essere veloci a prenderlo con un retino prima che si stacchi. In alternativa, si possono usare anche delle piccole nasse, ma solo se si è in possesso di una particolare autorizzazione, come ad esempio la licenza di pesca professionale”.
Non lo consigliamo, ma…
Queste ultime considerazioni non vogliono essere un incentivo ad abituarsi a pescare e mangiare il gambero killer. Oltre alle valutazioni sulla sicurezza sanitaria, chi è spinto a farlo soprattutto per limitare il numero di questi animali deve sapere che l’uso alimentare non avrebbe un impatto davvero significativo sulla riduzione dei gamberi americani nel nostro territorio. Tuttavia, secondo Zuffi “bisogna valutare i rischi alimentari nella loro globalità e penso che vadano considerate con criterio la frequenza e l’entità del consumo”. Gli inquinanti e i metalli nocivi, peraltro, possono essere presenti anche in altri alimenti che mangiamo più abitualmente, fra i quali i pesci d’altura come il tonno, ad esempio, aspetto attestato anche dall’EFSA. Secondo la professoressa Hrelia “se capita di mangiarli molto saltuariamente, questi gamberi non dovrebbero causare effetti tossici importanti, a meno che gli animali provengano da un habitat particolarmente contaminato. In quel caso potrebbero provocare effetti gastroenterici anche gravi”.
La tossicologa aggiunge che “non bisogna essere integralisti, però sappiamo che esistono normative a tutela del consumatore. Non resta che usare il buon senso. Oltre a questo, è molto importante variare la dieta, aspetto che concorre anche a evitare una potenziale esposizione concentrata su una particolare tipologia di inquinanti, tipici di una sola gamma di alimenti”. Anche il professor Enzo Spisni, in due precedenti interviste sulle diete dannose da evitare e sul pasto a scuola portato da casa aveva sottolineato l’importanza di un’alimentazione varia.
Dopo questo approfondimento sul gambero killer, può essere interessante leggere i nostri articoli sull’alimentazione per disintossicarsi dai metalli pesanti e sui casi recenti di mercurio nel pesce spada.
Altre fonti:
Regolamento UE 1143/2014
Autorità europea per la sicurezza alimentare – EFSA
Life – Sci d’acqua
Life Rarity