Torniamo a parlare di agromafia in Sicilia e negli altri grandi mercati ortofrutticoli. Da sud a nord, viaggio di sola andata. Migliaia di viaggi, tutti i giorni. Una filiera nella filiera, quella agroalimentare ormai più che contaminata da mafia, ‘ndrangheta, camorra: l’acquisto dei prodotti, il trasporto, la scelta del destinatario. Pratiche note da tempo, ma che emergono sempre più radicate nei mercati ortofrutticoli di una fetta consistente d’Italia: Vittoria, Fondi, Milano, con tappe intermedie ancora da localizzare con precisione. Fenomeni ormai strutturati che le inchieste recenti hanno  cominciato a smantellare, ma che proseguono quotidianamente.
Radicate nei territori, parte del sistema (di quello agroalimentare, non solo di quello mafioso), difficili da estirpare perché profonde: le infiltrazioni della grande criminalità organizzata italiana nel comparto hanno il loro qui, nei mercati dell’ortofrutta. Vediamo dove e come, nell’attesa che il processo di individuazione e smantellamento di questo buco nero dell’economia dia altri frutti. Intanto, la cronaca più recente racconta di come il Comune di Vittoria si sia costituito parte civile in uno dei processi in corso contro i clan. È pur sempre un passo avanti.Â
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Agromafia in Sicilia e non solo: i grandi ortofrutticoli
Vittoria (RG), dove tutto ha inizio
Comincia dal più grande mercato del sud Italia, quello di Vittoria, nel Ragusano, il viaggio del cibo pilotato. Perché se un certo tipo di pomodoro, di arancia, di melanzana arriva in un qualsiasi mercato del nord Italia, e non solo a Milano, il motivo sta lì, nel mondo che gira intorno al mercato ortofrutticolo di Vittoria e alle sue ramificazioni.
Qui, come ha spiegato l’ultima relazione semestrale della direzione investigativa antimafia (relativa a luglio-settembre 2015), la connessione tra commercio e attività malavitosa è stretta. Estorsioni, tangenti, traffici di vario tipo sono emersi da varie indagini e rappresenterebbero quindi l’humus nel quale una fetta dell’agroalimentare italiano si nutre.
Da Vittoria, come raccontano le inchieste e come più volte ha raccontato nel suo sito di informazione il giornalista siciliano Paolo Borrometi (oggetto per questo di intimidazioni e minacce da parte della mafia), da qui la Stidda del clan Carbonaro-Dominante ha il controllo della filiera. Scelta dei prodotti, confezionamento, imballaggio, trasporto. Una fetta importante dell’intera sequela di produzione è in mano a un ristretto novero di aziende, tutte riconducibili alla cosca. Per un guadagno importante, alla base del quale non è difficile scorgere il peccato originale della crisi del comparto in Italia: il prezzo da fame pagato ai piccoli produttori per verdura e frutta.
Fondi (LT), il centro di smistamento
Un po’ più o nord, verso il centro della penisola, un altro grande mercato funge addirittura da centro di smistamento, da hub come tanti lo hanno definito, dell’agroalimentare illecito. A Fondi, agro pontino, provincia di Latina, le mani sarebbero invece quelle della camorra, e in particolare dei Casalesi. La Gomorra della frutta e verdura non è però una specializzazione a parte, è semplicemente un tassello, sempre più importante, dell’enorme volume di traffico che l’organizzazione criminale ha messo su.
Il marcio di Fondi è stato parzialmente scoperchiato dalle inchieste Sud Pontino del 2010 e Gea del 2015: qui a far piovere potere e soldi c’era il monopolio del trasporto dei prodotti da e per i principali mercati d’Italia. Un’operazione controllata, secondo le carte, dalla famiglia degli Schiavone, che oltre che del Mof (il mercato di Fondi) disponeva anche dei punti vendita di Aversa, Parete, Trentola Ducenta e Giugliano, fino ad arrivare da un lato a: Palermo, Catania, Vittoria, Gela e Marsala, dall’altro a: Milano.
Mafia e Camorra insieme nei mercati ortofrutticoli
E qui ecco la novità , emersa proprio dalle inchieste: in questi traffici camorra e mafia (e a volte anche ’ndrangheta, che lavora sul versante droga, spesso nascosta nei tir che trasportano la merce) non si combattono, anzi dialogano fino a sembrare un’unica entità . Proprio dall’operazione Sud Pontino si venne a conoscenza del patto tra i Casalesi e i Corleonesi per la gestione dei mercati e per il trasporto di frutta e verdura.
Le condanne hanno riconosciuto l’esistenza dell’accordo tra clan, un patto d’acciaio che consentiva introiti da capogiro. Da una parte i campani, che tramite una loro azienda controllavano i trasporti, praticamente in modo monopolistico; dall’altra i siciliani, che avevano il via libera per la loro merce nei mercati della Campania e del Lazio.
Un altro business, anche questo parzialmente smascherato, è quello della plastica per gli imballaggi, o meglio della sua raccolta e del suo smistamento. Qui, sempre secondo le inchieste, c’è in Sicilia il gruppo Donzelli, che avevano creato un vero monopolio. Lo smaltimento si traduceva in sversamento pericoloso, con creazione secondo gli inquirenti di una bomba ecologica, tra l’altro negli splendidi luoghi teatro della fiction tv Il commissario Montalbano.
Anche così si spiegano i 16 miliardi di fatturato annuo di cui parla Coldiretti nel suo rapporto sull’Agromafia. Un’organizzazione capace di un controllo quasi totale sulla filiera, che ne ha costruito una a sé, parallela, oppure l’ha impregnata tanto da impadronirsene. Fino a quando durerà questo dominio? Per fortuna c’è chi lavora per dare una risposta a questo interrogativo. Oltre alle operazioni di polizia e alle inchieste giudiziarie, capaci di minare almeno parzialmente questo enorme giro d’affari, il fronte antimafia è affidato alla sensibilizzazione popolare, quella di associazioni, imprese e cittadini.
Ci sono ristoranti, ad esempio, che dicono un no deciso ai clan, mettendosi in pericolo ma portando un contributo prezioso all’estirpazione del problema. Un modo per ridare ossigeno ad una filiera altrimenti marcia. Quanto alle associazioni, tante sono da anni impegnate nel riutilizzo a scopi sociali dei beni sequestrati alla criminalità : vi invitiamo a leggere la ricetta di Libera Terra contro lo sfruttamento del settore a scopi mafiosi, ma anche, sul versante della lentezza della macchina burocratica e giudiziaria italiana, la situazione del patrimonio sequestrato ma ancora congelato in una regione emblematica, l’Emilia Romagna.