Come vengono stabiliti i menu degli ospedali?

 

Formulare e presentare un menu in ospedale richiede un’organizzazione complessa e metodica che si tende a trascurare. Al di là degli addetti ai lavori, infatti, in pochi conoscono le procedure e le specificità che si nascondono dietro questo tipo di ristorazione. Dopo aver trattato il tema della ristorazione ospedaliera, a distanza di qualche anno ne abbiamo parlato di nuovo con Luisa Zoni, per conoscere le novità in questo settore. Già medico responsabile dell’Unità Organizzativa di Dietologia e Nutrizione Clinica della AUSL di Bologna, oggi la dottoressa collabora con la Regione Emilia-Romagna per il tavolo regionale sulla sicurezza nutrizionale e per l’elaborazione di una strategia nazionale contro l’obesità.

Menu in ospedale: mense interne, appalti esterni e controlli

B Ledger/shutterstock.com

Comporre e servire il menu dell’ospedale presuppone un lavoro dettagliato e un’organizzazione estremamente precisa. Esistono tipologie organizzative diverse riguardo all’alimentazione durante il ricovero, come puntualizza la dottoressa Zoni: “un tempo erano soprattutto mense interne, mentre oggi si ricorre sempre più spesso agli appalti esterni, sottoposti al controllo da parte dell’ospedale attraverso l’economato, i dietisti dei servizi di dietologia o di quelli che afferiscono alla direzione sanitaria o all’economato. La produzione interna, con la distribuzione nei reparti, è ormai un ricordo del passato: oggi tutto viene preparato in maniera personalizzata nelle cucine ospedaliere, anche date in appalto, poi all’utente arriva il vassoio già preparato. Le cucine possono preparare i pasti a distanza oppure farlo all’interno di una delle strutture ospedaliere di riferimento. In Emilia-Romagna, ad esempio, l’ospedale Sant’Orsola di Bologna è uno dei pochi che hanno mantenuto la produzione interna”.

Per la ditta appaltatrice, prosegue Zoni, “c’è l’obbligo di effettuare tutti i controlli legati alla sicurezza alimentare e alla eliminazione dei rischi connessi con la produzione dei pasti (normativa HACCP). Ciò viene garantito dal personale specializzato, che deve essere presente al loro interno e a cui devono fornire formazione costante in merito. Accanto a ciò, le ASL effettuano controlli a campione con loro personale. Su questo si è fatto molto, e rispetto a 15 anni fa ci sono stati notevoli progressi”. 

I punti di riferimento: LARN e Dieta Mediterranea

In particolare, precisa la dottoressa, “come riportato nel recente aggiornamento dei documenti ministeriali, del 2021, il menu in ospedale viene composto basandosi sui LARN (Livelli di assunzione di riferimento dei nutrienti ed energia per la popolazione italiana, revisione del 2014 a cura della SINU, Società Italiana di Nutrizione Umana). I fabbisogni di nutrienti variano a seconda di età, sesso, attività fisica, stato fisiologico in cui ci si trova il soggetto; aspetti generici individuali e abitudini alimentari incidono sull’alimentazione del singolo, ma esulano dalla produzione del pasto ospedaliero. Viceversa, i valori dei LARN sono il riferimento per i professionisti rispetto alla determinazione della composizione del vitto durante le degenze, per garantire gli apporti adeguati al mantenimento della buona salute di individui o gruppi di persone e per evitare carenze di nutrienti. Sulla base di ciò i dietisti delle ASL predispongono i dietetici ospedalieri, cioè le caratteristiche energetico-proteiche che i diversi pasti devono garantire, specificandone le quote in grammi e percentuali dei diversi macro-nutrienti (carboidrati, lipidi e proteine) e dei principali micronutrienti (sodio, calcio, fosforo, ecc.). Da questo punto di partenza vengono poi ricavate le grammature giornaliere degli alimenti, che costituiscono il cibo da fornire e a cui la produzione dei pasti dovrà attenersi”.

dieta mediterranea
Antonina Vlasova/shutterstock.com

Rispetto questo aspetto significativo, Luisa Zoni aggiunge che “il punto di riferimento nella formulazione dei menu ospedalieri è la dieta mediterranea, e che il ricovero di breve durata deve essere utilizzato anche a scopo educativo. I dietisti e il personale delle ditte in appalto che curano la preparazione del pasto ospedaliero predispongono menu differenziati per periodi dell’anno e si confrontano con i dietisti delle ASL sulla correttezza-opportunità delle ricette proposte. La differenziazione periodica permette di offrire il più possibile cibi freschi stagionali. I menu si distinguono, pertanto, tra quelli invernali, per l’autunno-inverno, e quelli estivi, per la primavera-estate. Occorre, infatti, assicurare la varietà dei pasti, la food safety (la sicurezza alimentare dal punto di vista igienico-microbiologico) e la food security (termine introdotto di recente dalla FAO per definire l’accesso fisico, economico e sociale a un’alimentazione sufficiente, sicura e nutritiva, adeguata a tutti), che in ospedale garantisce apporti adeguati di base e alle situazioni cliniche per evitare carenze nutrizionali”. 

Il dietetico ospedaliero 

In linea di massima, precisa la dottoressa, “per garantire una corretta alimentazione dei pazienti connessa con le loro patologie – e quindi con esigenze estremamente variabili – è buona norma che la struttura sia dotata di un dietetico ospedaliero. Si intende una serie di identificazioni sul tipo di alimentazione, come indicato anche dai documenti ministeriali che regolamentano la ristorazione collettiva. Nel dietetico sono definite le caratteristiche del vitto comune, adatto a tutti i soggetti senza particolari problemi clinici ricoverati per patologie acute o sub-acute, come una broncopolmonite. Ad esempio: devono, inoltre, essere presenti vitti differenziati a seconda delle patologie, definiti speciali: iposodico, ipocalorico, ipoproteico, ipolipidico, povero in fibre e lattosio, per la rialimentazione post-operatoria, ad alta densità nutrizionale, privo di glutine per celiaci. Questo comporta, nelle ricette dei menu, l’eliminazione o l’aggiunta di cibi particolari, oppure differenti tipologie di servizio e preparazione. Al bisogno possono essere predisposti pasti per altre somministrazioni specifiche, come per pazienti allergici al latte, al nichel o ad altro”.

Menu standard e alimentazione specifica

La fornitura del pasto ospedaliero, comune o speciale, “segue le regole della corretta alimentazione, con presenza di alimenti di tipo vegetale oltre a verdura e frutta, per cui si inseriscono preparazioni a base di legumi o di loro derivati. C’è poi attenzione per i cibi locali e i prodotti tipici della zona. A Bologna, ad esempio, durante le festività sono presenti tortellini e tortelloni. Il menu base fornisce circa 2.000 calorie al dì, ma nel dietetico sono previste alcune varianti calcolate per apporti calorici inferiori”.   

Ognuno dei vitti precedentemente definiti, prosegue Zoni, “dopo la preparazione e la cottura può essere modificato portandolo a livelli di consistenza e densità differenziati e codificati, per aiutare chi fatica a masticare o a deglutire e, quindi, rischia che il cibo vada di traverso e si generino broncopolmoniti”.

sasirin pamai/shutterstock.com

Più attenzione alla sostenibilità

Negli ultimi anni, sono stati elevati i parametri – considerati ormai dei prerequisiti – alla base della gestione dei menu in ospedale. Luisa Zoni precisa che “nell’aggiornamento sulla ristorazione collettiva del 2021 si sottolinea che i pasti devono essere buoni e sicuri e chi produce deve garantire sicurezza, efficienza e sostenibilità. Pertanto, si sono evolute l’impostazione e le richieste per le forniture dell’alimentazione ospedaliera.”

Nel momento in cui si realizzano i capitolati, aggiunge Zoni, “vengono presi in considerazione gli aspetti dirimenti in ottica di sostenibilità, come ad esempio la gestione dei rifiuti, con l’obiettivo di ridurne la produzione anche in fase di preparazione, con verifiche a carico delle aziende in appalto sui rispettivi fornitori. Inoltre, non deve mancare l’attenzione sugli scarti del pasto, dopo che questo viene fornito all’utente, anche perché ha un effetto sullo stato nutrizionale del soggetto. Questo apre il dibattito su quanto, in concreto, non venga considerato a sufficienza l’aspetto nutrizionale dei ricoverati, a partire dallo screening iniziale dell’individuo, nonostante gli sforzi degli addetti ai lavori per rispettare le diverse condizioni”.

Inoltre, “già negli anni precedenti alla pandemia c’era stata la richiesta di usare il più possibile piatti e posate lavabili, per garantire una riduzione della produzione di rifiuti e soprattutto di plastica. Nel periodo segnato dal Covid-19, per forza di cose, si è spesso passati all’utilizzo di stoviglie usa e getta ma compostabili, mentre ora si è tornati quasi ovunque ai piatti di ceramica e alle posate di metallo”.

La gestione dei pasti dei pazienti 

“Il menù in ospedale è a tutti gli effetti parte della terapia del paziente. A partire dal dietetico definito dagli specialisti del servizio dedicato e dal menu proposto dalla cucina – interna o in appalto – si stabiliscono le grammature e le calorie da fornire. Un pasto giornaliero per diabetici, ad esempio, può apportare 1.300, 1.500 o 1.800 calorie. In questi casi, rispetto al vitto comune cambiano sia le dosi ai pasti, sia spuntini, colazione, frutta ed extra. La grammatura del vassoio personalizzato in cucina prevede l’addestramento del cuoco anche sul porzionamento delle necessità individuali”. 

Svitlana Hulko/shutterstock.com

Per consentire la correttezza dell’ordine in cucina del vitto del singolo paziente “occorre presentare, al personale dei vari reparti, il dietetico ospedaliero, ossia la tipologia di diete disponibili. La presentazione viene effettuata dai dietisti inizialmente, per rendere autonomi gli ordini, ma sono possibili momenti successivi di formazione in caso di modifiche o di aggiunte di vitti particolari, secondo le esigenze dei singoli ospedali, oppure per rinfresco periodico delle informazioni. Il recente forte turnover di personale ospedaliero connesso alla pandemia sta accentuando il bisogno di formazione in tal senso. Rimangono comunque possibili, su richiesta dei medici del reparto, consulenze dei dietisti o dei medici dietologi per situazioni particolari, che comportano diete personalizzate, gestite a questo punto dai dietisti ASL. Questi, ogni due-tre giorni, concordano col paziente per la tipologia di piatti e le scelte specifiche in maniera personalizzata, prenotando direttamente in cucina”. 

In reparto, quindi, “il medico indica il tipo di dieta idonea al paziente e l’apporto calorico ove previsto e l’infermiere – case-manager o caposala o altro infermiere a ciò dedicato – provvede alla prenotazione sul sistema informatizzato dedicato. In cucina ciò si traduce in una ‘comanda’ analoga a quella dei ristoranti, che genera un’etichetta stampata da apporre sul vassoio destinato al posto letto del paziente. Sull’etichetta compaiono il nome del paziente e del posto letto, la composizione del pasto e, se previsto, anche la descrizione dell’apporto calorico-proteico. A seconda della scelta di portata dal menu del giorno e dell’apporto calorico richiesto, l’addetto di cucina predispone l’impiattamento nel vassoio, utilizzando anche stoviglie di dimensioni diverse per garantire la giusta porzione richiesta.

Inizialmente, quindi, si cura molto l’informazione e il processo nella sua globalità, mentre in seguito tutto diventa un automatismo”.

Scegliere il menu in ospedale

Luisa Zoni sottolinea l’importanza della possibilità di scelta delle portate da parte del paziente, all’interno della tipologia di menù prescritto in ospedale. “La cucina fornisce ai reparti il menu stagionale, con l’elenco dei piatti e delle preparazioni che vengono predisposte. I menu ospedalieri devono prevedere almeno due settimane di variabilità – quattro per la lungodegenza – per evitare eccessiva ripetitività nelle scelte alimentari, aspetto che disincentiva l’alimentazione. Per ogni portata principale devono, inoltre, essere presenti più scelte alternative. Questa possibilità si è ristretta in seguito agli aumenti dei costi delle materie prime che si sono verificati; per legge, comunque, devono essere garantite due scelte principali. L’ultima revisione del documento ministeriale prevede che siano mantenute queste caratteristiche, indipendentemente dalla tipologia di vitto, sia esso di tipo standard o specifico”.

A meno che il paziente non sia in stato di incoscienza o abbia problemi di comprensione, “gli ausiliari passano a chiedere ai degenti cosa preferiscono mangiare il giorno successivo, per poter inviare le prenotazioni direttamente in cucina. La scelta individuale delle portate dal menu non esclude, però, che il paziente finisca col non gradire il vitto fornitogli. Nel gradimento, infatti, giocano molti fattori che esulano dalla correttezza della preparazione culinaria, in primis il gusto che ciascuno di noi attribuisce a un determinato piatto e che si forma nel corso della vita e delle abitudini familiari e individuali. Per questo, spesso, gli anziani hanno più problemi con la gradibilità, perché vengono da una vita di abitudini diverse e le loro degenze tendono a essere più lunghe. Solo nei reparti di chirurgia non sono previste, almeno inizialmente, scelte del menu, in quanto nei primi giorni dopo gli interventi il vitto di rialimentazione prevede tipi e dosi crescenti di alimenti codificati”.

Mangiare bene anche a casa: l’importanza dell’educazione alimentare

Quando coinvolto, il dietista spiega al paziente come comportarsi a casa, anche se non viene fatta una richiesta di dieta personalizzata. “Tassativamente, tutte le volte che c’è una dieta personalizzata per la domiciliazione, viene curata l’educazione alimentare. Nutrirsi in modo corretto fa parte della terapia del ricoverato, e l’alimentazione corretta deve essere trasferita anche al domicilio. Non si può mangiare bene solo quando si è ricoverati”.

In ospedale, periodicamente, “vengono svolti anche questionari di gradimento, sotto la supervisione dell’ufficio della gestione alberghiera e dell’economato. Tra le critiche più frequenti, c’è la percezione di una scarsa sapidità rispetto alle abitudini di casa, dove spesso si tende a consumare cibo troppo salato. Il dietista – e spesso anche il personale di reparto – spiega che la riduzione di sale è una questione educativa a beneficio della salute, e al di là delle critiche dei degenti è chiaro che l’ospedale non può aderire ad abitudini non sane. 

In relazione alle problematiche individuali, può essere importante seguire i pazienti nelle abitudini alimentari quotidiane, si tratta di supporti post-dimissione alleati di ciò che viene suggerito durante la degenza. Per alcune patologie, il servizio di dietetica e nutrizione clinica fissa degli appuntamenti, come ad esempio avviene per gli operati al tratto digestivo, che vengono presi in carico dal servizio di dietetica e nutrizione, oppure nell’ambito di alcuni percorsi per patologie. In altri casi, può essere il medico di medicina generale a chiedere la consulenza al dietista. Si costruisce, quindi, un percorso per ottenere risultati positivi e duraturi: per altre situazioni, in assenza della presa in carico diretta, ci si affida alla responsabilità dell’utente e all’attenzione del medico di medicina generale”, conclude Luisa Zoni.

Come abbiamo visto, oltre alle competenze specifiche, il menu in ospedale presuppone un’organizzazione estremamente precisa e capillare, che non trascura nessuno dei passaggi che abbiamo citato. 


Immagine in evidenza di: Svitlana Hulko/shutterstock.com

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