Dimentica tutto quello che hai pensato per giorni, se hai un Sassarese a Cena. Riempi la dispensa per bene, anzitutto: perché mangiare mangia, il problema è che devi svuotare frigo e testa di tutto quel che avevi preparato sapendo di avere un sardo a cena. E sfoderare il piano B. Il sassarese non è sardo. E’ sassarese. E se non lo rimpinzi a dovere te lo spiegherà per tutta la cena, rovesciandoti sul tavolo una serie di nozioni storico-cultural-calcistiche tali che, quando il racconto della festa dei Candelieri sarà ancora in porta Sant’Antonio, cioè a metà strada, e la spiegazione sul perché la Torres avrebbe meritato lo scudetto più del Cagliari giacerà impantanata negli anni ottanta, l’unica via d’uscita sarà un disperato: “Almeno, beviti un mirto!”. Lo berrà.
Invitare un Sassarese a cena: 5 cose da sapere
Viva la zappa
Ricapitolando. Il sassarese parla una lingua diversa dal sardo, e se hai provato per tutta la settimana a dire “porceddu”, tieniti l’impresa e la povera bestiola per un’altra occasione. Non ce li ha, i maialetti. E neanche le pecore, e neppure gli agnelli. Non li ha mai avuti, perché con tutta l’acqua che scorreva (e ancora scorre) attorno alla città pensò bene di dedicarsi solo alla zappa, e riempì le campagne di orti. Ha le lumache, però, e ne mangia di tutte le specie. E melanzane, favette e cavoli in abbondanza. Così tanti da essere apostrofato come magnagaura (mangiacavoli) dagli altri sardi. E anche impiccababbu, ma quella è un’altra storia.
Nel nome di Genova
Tipo strano questo sassarese, così strano che tra i piatti tipici ne ha uno di origine genovese: la farinata arrivò in città nell’ottocento grazie ad alcune famiglie liguri emigrate in Sardegna, vi si stabilì e radicò. E cambiò nome: il fainà genovese nel nord Sardegna è diventato fainè, e non sono pochi i sassaresi che pensano che sia roba loro. Se gliela prepari ti ringrazierà, ma storcerà un po’ la bocca perché da lui non se ne mangiano solo due-tre fette come si fa in Liguria: ci si imbastisce l’intera cena. Fainé con cipolla, fainé con salsiccia, fainè con salsiccia e cipolla… Con tante grazie da parte dell’intestino e di chi gli dormirà accanto.
Quant’è lontano, il Campidano
Ma anche senza fainè, il sassarese riesci ad ammansirlo. Stordendolo di antipasti per esempio. Lui e la greffa (cricca) di amici che si sarà portato dietro (dicono i cugini detrattori che un sassarese invitato a un’arrostita di carne non si presenta mai da solo, e un po’ di ragione ce l’hanno) cominceranno a ragionare solo quando scoperchierai favette col lardo, pedi d’agnoni (zampe di agnello: sì, qualche animale arriva anche alle macellerie sassaresi…), mirinzana in forru, buttoni di trau (testicoli di toro), cordula con piselli. Bene, l’impasse è superato.
Ora non ti resta che riporre in freezer i culurgiones, deliziosi ma retaggio di altra Sardegna, e mandare a memoria ciggioni o semplicemente gnocchetti, all’italiana, per quelli che pensavi di dover chiamare malloreddus: il Campidano è lontano e ostile, anche se la pasta è uguale e sempre di Sardegna si tratta, comunque tu fai finta di nulla e dì sempre sì. Ciggioni col sugo di salsiccia, naturalmente, perché la leggerezza, anche senza dover allestire pecora bollita o file di maialetti allo spiedo, non è gradita sulla tavola sassarese.
Ziminu libero
E per secondo? Messo il porcetto in congelatore a far compagnia ai culurgiones, posto che è difficile che riesca a procurarti lo ziminu (il vero piatto tipico, interiora di vitello fatte rigorosamente alla griglia e solo da mai sapienti, materia prima di recente trovata in macelleria dopo 15 anni di proibizionismo) o arrostire alla brace carne di cavallo, ecco il colpo di teatro: un pentolone di ciogga minudda (lumachine) e il gioco è fatto. Bollite e insaporite con l’aglio, rovesciagliele a piene mani sul piatto: le succhierà avido e meticoloso, e così passerà soddisfatto il resto della serata. Potreste anche portargli le lumache o i lumaconi, che si cucinano in altro modo, ma ormai è fatta.
E il pesce? E’ sardo, abita a pochi chilometri dal mare, lo mangerà pure qualche pesciolino… Sì, lo mangia, e gli piacciono anche i gamberoni, ma è una cosa da fare possibilmente a pochi metri dalla spiaggia, e poi la tradizione non lo prevede: anguilla arrosto, quella sì, e al limite sardine alla griglia. Insomma, lasciagli la sua ciogga, somministragli un po’ di verdure crude tra le quali, imprescindibili, i ravanelli, e la bella figura è confezionata. A questo punto potresti portargli una seada, che non è roba sua ma chiuderà un occhio, e il famoso mirto col quale spegnerai sul nascere il racconto del castello abbattuto per esigenze di modernismo.
Ah, oltre a impiccare il padre e mangiare cavolfiori, raccontarti di Berlinguer e Cossiga (o più probabilmente solo del primo), cantarti l’inno la mirinzana in forru e spiegarti il perché della sua indole canzonatoria e dissacrante, il sassarese beve. Vino o birra non importa, e in quantità non modeste. In questo, almeno, ammetterà di non essere difforme dai cugini di un’isola della quale si sente, a seconda dell’umore o della quantità di alcol, capitale o estrema periferia.