Perché la “panzanella” si chiama così? Le origini e le versioni di questo piatto di recupero

 

Semplicità e freschezza sono i due punti forti della panzanella, specialità tipica dell’Italia centrale e in particolare della Toscana. Uno dei cosiddetti “piatti di recupero”, nati cioè dall’esigenza di non sprecare un bene prezioso come il pane, che ne rappresenta l’elemento base. Si inserisce quindi nel solco della stessa tradizione da cui hanno origine la ribollita, la minestra di pane, la “zuppa del carcerato” e la pappa al pomodoro, altri capisaldi della cucina toscana, con una differenza sostanziale: la panzanella non prevede cottura, motivo per cui in anni recenti è stata riscoperta come portata ideale di un pranzo estivo. 

Chi ha inventato la panzanella?

Ci sono due teorie sulla paternità della panzanella. La prima riporta al motto contadino secondo cui nulla va buttato, specie se si tratta di risorse preziose com’era il pane, che veniva preparato una volta a settimana o addirittura più di rado. La necessità di non sprecarlo, anche a distanza di giorni, quando diventa particolarmente secco, avrebbe quindi suggerito di bagnarlo, in modo da farlo rinvenire, e insaporirlo con le verdure disponibili.

L’altra ipotesi riconduce invece ai marinai e alla loro usanza di bagnare con acqua di mare il pane che portavano a bordo dei pescherecci quando salpavano per il mare aperto.

YuliiaHolovchenko/shutterstock.com

Come è nata la panzanella?

Trattandosi di una sorta di zuppa fredda in cui abbondano gli ortaggi, viene facile pensare che sia più legata al mondo contadino, un po’ come la crapiata materana. Non ci sono legumi e cereali nella panzanella, ma solo pane raffermo e le cosiddette “verdure sull’uscio”, quelle cioè che si trovavano nell’orto di casa o nei campi. È dunque probabile che la panzanella sia nata proprio dall’iniziativa delle massaie che si trovavano a dover sfamare tante bocche con poche risorse. Un piatto nato e tramandato tra le mura domestiche dunque, cosa che spiegherebbe anche la mancanza di una vera e propria ricetta ufficiale. 

Nonostante le versioni contrastanti sulle origini e sulla sua preparazione, tuttavia, è certo che si tratta di una tradizione antica, con tracce e richiami nelle opere del Boccaccio e del Bronzino, che cita proprio la panzanella in un poemetto del XVI secolo:

Ma chi vuol trapassar sopra le stelle,
Di melodia, v’aggiunga olio e aceto
E’ntinga il pane e mangi a tira pelle.” …
…  “Un insalata di cipolla trita
Colla porcellanetta e citriuoli
Vince ogni altro piacer di questa vita.
Questo trapassa l’amor de’ fagiuoli,
E d’amici, e di donne, che con essi
T’ammazzeresti per due boccon soli.
Considerate un po’ s’aggiungessi
Basilico e ruchetta, oh per averne
Non è contratto che non si facessi”…
[In lode delle cipolle – capitolo di Agnolo Allori, detto “il Bronzino”]

L’origine del nome “panzanella”

L’incertezza sulle origini della panzanella regna anche per quanto riguarda il nome. C’è chi sostiene sia la sintesi di “pane” e “zanella”, termine dialettale che sta a indicare un contenitore concavo, come appunto una zuppiera. Un’altra teoria vuole invece che sia legato a “panzana”, che deriva da “pappa”. Un’ultima ipotesi, infine, è che si tratti dell’anagramma di “zampanella”, da cui ha origine anche una specialità della cucina povera emiliana come il borlengo

Dove è nata la panzanella? 

Dire “panzanella” fa pensare subito alla Toscana, sia per la tradizione di impiegare il pane raffermo come base per piatti poveri che sono diventati simbolo della cultura locale, sia per le citazioni letterarie cui abbiamo accennato sopra. Ma la panzanella non è patrimonio esclusivo di Firenze e, oltre ad altre province toscane, è diffusa pressoché in tutta l’Italia centrale: in Umbria, Marche e Lazio, ad esempio, dov’è protagonista di numerose sagre di paese. 

Tutte le versioni della panzanella 

Come abbiamo detto, non esiste un’unica ricetta codificata della panzanella. La sua preparazione varia non soltanto da una provincia all’altra, ma anche all’interno dello stesso territorio. Del resto, è un piatto talmente diffuso e radicato nella cultura popolare che ogni famiglia ha la sua ricetta e i suoi piccoli segreti. 

Ostranitsa Stanislav/shutterstock.com

Trattandosi poi fondamentalmente di una zuppa, ognuno aggiunge o toglie ingredienti assecondando il proprio gusto. L’unico elemento cardine è il pane raffermo, che nella tradizione toscana viene bagnato con acqua e aceto, e sbriciolato insieme al resto degli ingredienti. La cipolla è immancabile, solitamente accompagnata da pomodori, cetrioli tagliati a tocchetti, basilico, aceto di vino rosso, sale e olio EVO a crudo. Non è raro tuttavia trovare, in aggiunta, uova sode, tonno, sottaceti e acciughe (specie nel livornese), o erbe aromatiche come il timo. Pare che nemmeno il pomodoro, oggi considerato irrinunciabile, fosse presente nelle più antiche preparazioni. Appena importato dall’America, era infatti considerato un frutto prevalentemente ornamentale. All’epoca trovavano invece spazio erbe di campo facilmente reperibili come la portulaca.

In Umbria e Marche, invece, le fette di pane inzuppato vengono lasciate intere solitamente alla base del piatto. 

Avventurandosi oltre il solco della tradizione, nella cucina moderna, non di rado capita d’imbattersi in reinterpretazioni della panzanella che vanno a sostituire il pane raffermo con elementi tipici della cultura locale. Dalla versione salentina, a base di friselle, a quella sarda con pane carasau o, ancora, quella di cous-cous d’ispirazione sicula. 

Ad ogni modo, il modo migliore per apprezzare la panzanella è servirla a temperatura ambiente, una volta conditi e mescolati gli ingredienti e preferibilmente dopo averli fatti ben insaporire lasciandola in frigorifero per qualche ora.

E voi, conoscete la Panzanella? Come amate prepararla? Raccontatecelo in un commento!

 

Scritto con il contributo di Deborah Ascolese.

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