Merende a suon di street food: intervista a Gianluca Capedri

Castle Street Food - Merenda nei Castelli d'Italia

Era un tiepido week-end di Maggio quando, al grido di ‘furgoncini d’Italia unitevi’, schiere di farinate, miasse, lampredotti, olive ascolane, arancini e street-eccellenze di ogni razza e dimensione si riversarono a Fontanellato (Parma), per cingere i bastioni della Rocca di San Vitale. E fu subito Castle Street Food.

La Merenda nei Castelli d’Italia, festival del cibo di strada ‘andato in onda’ dal 1 al 3 Maggio, è la prima tappa di un progetto che si prepara ad espugnare le mura di tante altre città con un obiettivo ben chiaro: ‘raccogliere dalla strada’, e nobilitare, una parte importante della gastronomia italiana che odora di tradizione ed eccellenza.

Castle Street Food

“Il Giornale del Cibo”, sensibile alla causa, ha seguito la scia del fumo dei Food-Truck e si è lasciato trascinare in territorio parmense per testare la qualità dei prodotti sulla piazza.
Infine, dopo aver strappato unintervista al mitico Chef Rubio, è andato in cerca dell’ideatore dell’evento, Gianluca Capedri, per ‘assediarlo’ di domande.

Gianluca Capedri

Gianluca, da dove nasce l’idea di una ‘Merenda nei Castelli d’Italia’ e perché l’accostamento street food-castelli medievali?

Gianluca Capedri: “L’idea nasce dalla mia tesi di laurea: sono laureato all’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo (nata per idea di Carlo Petrini)  e ho scritto una tesi sulla merenda italiana, sulla riscoperta di questa pratica alimentare attraverso un nuovo sistema ristorativo in grado di introdurla all’interno di una cultura alimentare (i FoodTruck). Da qui nasce l’idea di portare in Italia la cultura dello street food on the road e di unirla alla cultura dei posti che in Italia meritano di essere rivalutati. Così è nata una collaborazione con “I Castelli del Ducato”, un’associazione che ci ha cercato per rivalutare questi bellissimi posti. È stato un lavoro di squadra che – possiamo dire – è riuscito”.

Merenda nei Castelli d'Italia, Food Truck

“Il cibo di strada di qualità” sembra quasi una contraddizione: in genere ricolleghiamo questo tipo di cucina alla cultura popolare del cibo, a qualcosa di “improvvisato” che nasce spontaneamente dal basso…

G.C.: “Per ‘cibo di strada di qualità’ intendiamo qualcosa tanto semplice quanto difficile da trasformare in un prodotto tale. Mi spiego meglio: partendo da due ingredienti (un pane, un salume o un formaggio), riscopriamo la merenda. Ne è un esempio la classica michetta con dentro la mortadella, un must che si stava perdendo o si era perso e che tramite un Apercar, un furgoncino o un Citroen viene riportato sulle strade, ma con un pane e una mortadella di qualità. Per street food di qualità si intende proprio questo: portare in strada a prezzi bassissimi una qualità con la ‘Q’ maiuscola. Questo è il cibo di strada che rappresenta il nostro territorio. Noi siamo ammirati da tutti perché abbiamo tantissimi prodotti e da un prodotto nasce un piatto: questo ci invidiano”.

Cibo di strada di qualità, panino

Quali saranno le prossime tappe della ‘Merenda nei Castelli’?

G.C.: “Le date ufficiali le daremo dal 4 Maggio in poi, ci saranno tutti i castelli che già avevano gli occhi puntati su di noi e che ci hanno già cercato. La prima tappa – restando nel parmense – sarà senz’altro la fortezza di Bardi, poi sarà la volta del Castello Arquato in Val d’Arda e del bellissimo Castello di Rivalta in provincia di Piacenza: tre appuntamenti che distribuiremo sul calendario da qui a Novembre, e non solo.

Il tema cambierà: non porteremo sempre e solo il concetto dello Street Food ma andremo anche a lavorare sulla Comunicazione incrociata portando nei castelli – ad esempio – altri temi che fanno parte della vita di tutti i giorni della gente comune. Sono tante le cose su cui stiamo lavorando con “Giroidea”, che cura tutta la parte comunicativa e organizzativa del progetto”.

Castle Street Food, Rocca di San Vitale

G.C.: Avete pensato di portare l’iniziativa fuori dai confini nazionali?

“Sì, certo; io sono già in contatto con diversi FoodTruck a Londra, Monaco, Berlino, Parigi, e appena hanno visto questo concept se ne sono innamorati: all’Italia basta davvero poco per presentarsi al pubblico internazionale. Il nostro obiettivo è anzitutto creare cultura: i primi mattoncini li mettiamo qui in Italia perché è qui che possiamo mettere le basi. E poi portiamo lo street food di qualità in zone in cui questa cultura variegata manca. All’estero sanno cos’è lo street food e sanno cosa vuol dire fare eventi con migliaia di persone perché lì, ad esempio a Londra, le famiglie passano le domeniche nei mercati del cibo di strada.

In Italia non è ancora possibile per vari motivi, tra cui uno burocratico, ma credo siano tutti problemi risolvibili. Il movimento lo facciamo iniziare in Italia con l’obiettivo di andare a conquistare i castelli dell’Europa e poi, chissà, del mondo… Non ho limiti, ho 23 anni!”

Castle Street Food a Fontanellato

Hai parlato di qualità a basso costo, semplicità, tradizioni, cultura. Con un volo pindarico mi ricollego a questi concetti per farti una domanda ‘antipatica’. Ad un’Esposizione Universale ci aspetteremmo di trovare la cultura del cibo, intesa come cultura di un’alimentazione sana e sostenibile. Non ultimo, ci aspetteremmo che un evento come questo valorizzasse l’identità delle culture attraverso il cibo. Quanto si coniuga con la presenta di multinazionali come Mc Donald’s e Coca Cola con questi propositi?

G.C.: “Credo che il coinvolgimento di multinazionali in una manifestazione mondiale sia scontato. È un evento così grande che ha bisogno anche della forza economica – si è visto – di multinazionali. L’importante è saper dosare e dare importanza a chi c’è dentro. Quindi da Expo io mi aspettavo (e spero ancora di potermi aspettare) più attenzione verso le piccole realtà. Per esempio, ieri abbiamo presentato al pubblico “10.000 orti in Africa”, un grande progetto di Slow Food che collega le reti internazionali del cibo.

Personalmente, da Expo mi aspettavo non tanto che avrebbe fatto venire l’Africa a Milano, ma quanto che i milanesi, il mondo, quelli che hanno oggi la forza per sostenere un continente come l’Africa avrebbero lavorato per restituire al continente e al suo popolo la loro terra: è Expo che deve andare in altre nazioni per aiutare la gente del luogo. E mi riferisco anche alle stesse multinazionali che, proprio in virtù del loro potere economico, potrebbero essere d’aiuto, tramite però una sana etica alimentare che è stata persa ed è per questo che qualcuno non ha visto di buon occhio la presenza di questi colossi a Milano. Non c’è bisogno di portarli a Milano: devono piuttosto andare a dare una mano dove le terre sono state portate via alle persone che hanno perso e che riscoprono dei prodotti che devono essere riportati in vita. “10.000 orti in Africa” e Slow Food fanno questo”.

Con le idee più chiare (e la pancia piena) attendiamo con famelica ansia un nuovo invito per una nuova Merenda nei Castelli d’Italia

 

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