“Un’operazione a tutto vantaggio dei grandi gruppi”: è così che Carlo Petrini si esprime a proposito del TTIP, accordo commerciale in corso di negoziato tra Europa e U.S.A. che dovrebbe portare ad un’integrazione dei due mercati. Un obiettivo che andrebbe conseguito non solo riducendo i dazi doganali, ma anche appiattendo le differenze sulle procedure impiegate in materia di standard di sicurezza applicati ai prodotti e regole sanitarie, più rigide in Europa che negli Stati Uniti.
Attenta a proposte, ostacoli e contraddizioni che gravitano attorno al dibattito “Nutrire il Pianeta”, la redazione de “Il Giornale del Cibo” ha chiesto al presidente di Slow Food di esprimersi su Expo 2015, e su alcuni argomenti cruciali per il settore agro alimentare italiano.
- Durante l’evento “Expo delle Idee”, Lei ha affermato che senza la partecipazione a Expo di pescatori, allevatori, agricoltori, l’esposizione universale sarà costruita sulla sabbia. Quale rapporto si potrà costruire fra Slow Food ed Expo?
Carlo Petrini: Sono convinto che per un Expo che si prefigge l’obiettivo di discutere su come nutrire il pianeta creando energia per la vita non sia possibile pensare di affrontare l’argomento senza un coinvolgimento di chi in effetti con il suo lavoro quotidiano coltiva e produce la materia prima della quale ci cibiamo. Oggi, nel xxi secolo, è il significato stesso dell’esposizione universale che sarebbe da rivalutare; a differenza del passato, infatti, questa non dovrebbe più essere l’unica occasione per gli Stati e le nazioni di mostrare la loro grandezza attraverso mirabolanti costruzioni ad hoc.
La mia opinione è che oggi un’esposizione universale dovrebbe avere l’ambizione di costituire una piattaforma di dibattito globale su temi che riguardano il pianeta che condividiamo, e in questa interpretazione l’esclusione di coloro che sono vicini alla terra per me è un controsenso. Significa infatti lasciare fuori dal dibattito coloro che con il proprio lavoro presidiano i territori, anche marginali, nei quali vivono; significa non ascoltare chi con i fatti difende la biodiversità conservando e migliorando i propri semi, non ascoltare i dubbi e le problematiche di chi lavora per un’agricoltura ed un allevamento rispettosi della vita e della qualità, problematiche che avrebbero bisogno di una risposta politica.
Slow Food ha deciso di partecipare a Expo in questa ottica. Non pensiamo che sia giusto rimanere fuori da un dibattito mondiale sul cibo, quello che è certo è che lo faremo con i nostri contenuti.
- Pensa di poter rivedere la sua dichiarazione alla presentazione dell’edizione 2014 del Salone del Gusto e Terra madre a Torino “Abbiamo accettato di stare dentro l’Expo ma ci stiamo in maniera critica. L’Expo non ha anima. Da quando lo hanno presentato si è trasformato in un evento che non ha nulla a che fare con il cibo, con la nutrizione e con il pianeta”?
C.P.: Non penso che sia una dichiarazione da “rivedere”. Ciò che posso fare, piuttosto, è spiegare cosa è scaturito da queste riflessioni, largamente dibattute all’interno del movimento.
Infatti, se la mancata partecipazione dei contadini del mondo strideva con i contenuti di questa Expo e la nostra presenza doveva avere un contenuto critico, abbiamo deciso di portarli noi, i contadini.
Per questo abbiamo indetto un’edizione straordinaria di Terra Madre destinata ai giovani del movimento, che radunerà ragazzi e ragazze provenienti dai cinque continenti e che si troveranno a Milano a inizio ottobre per incontrarsi e avere la possibilità di dibattere i vari temi che riguardano le loro professioni e il loro rapporto con la terra e il cibo che produce. Gli incontri di questa particolare assemblea si svolgeranno in alcune strutture chiave della città di Milano, in modo che anche i milanesi abbiano modo di essere coinvolti nelle diverse attività che i giovani stessi metteranno in essere, come segnale che il mondo di coloro che sono vicini alla terra non deve essere tenuto nascosto in un luogo lontano e circoscritto, ma che i temi di cui loro devono parlare riguardano davvero tutti noi.
- Slow Food è un’organizzazione pensata come risposta al dilagare del fast food e del junk food. Qual è la sua opinione riguardo alla partecipazione di McDonald a Expo?
C.P.: McDonald è una grande attività commerciale e privata che fa i suoi interessi. Posso non essere d’accordo su quello che loro propongono, ma credo che decidere di finanziare un evento e diventarne main sponsor sia nelle loro facoltà.
- C’è una grande confusione su ciò che sia meglio avere in tavola tra un prodotto biologico, un prodotto del territorio, un prodotto a marchio tutelato. O un prodotto più convenzionale ma meno costoso. Al supermercato davanti a una testa d’aglio biologica proveniente dal Portogallo e una testa d’aglio convenzionale del territorio lei cosa sceglierebbe? Riesce a chiarirci le idee?
C.P.: Io penso che la chiave stia nel trovare paradigmi nuovi. Un acquisto consapevole tiene in conto numerosissime variabili, e non ci sono purtroppo verità assolute o marchi ai quali affidarsi ciecamente, anche se chiaramente ci aiutano ad orientarci. Sono convinto che sostituire una testa d’aglio convenzionale del territorio con una biologica proveniente da migliaia di chilometri di distanza non sia una scelta che contribuisce ad un sistema alimentare migliore. La difficoltà del consumatore sta proprio nel riuscire ad avere accesso alla informazioni che costituiscono l’identità del prodotto per poter effettuare una scelta consapevole; accorciare le filiere, ad esempio, è un modo per avere informazioni più chiare su quello che acquistiamo e che mangiamo.
- Alcuni pensano che, se passerà, il TTIP porterà ad una colonizzazione dell’Europa da parte dei prodotti alimentari statunitensi. Slow Food si batte contro l’omologazione alimentare, per la salvaguardia della biodiversità e per la tutela dei piccoli agricoltori. Qual è la sua opinione sul trattato di liberalizzazione UE-USA? Cosa si può fare per arginarne gli effetti negativi prospettati da molte organizzazioni?
C.P.: Il TTIP è un argomento complesso, così come le sue criticità. Uno degli aspetti che ci appare più problematico è l’istituzione dell’arbitrato per le controversie tra Stati ed investitori, dal momento che alcune situazioni che le aziende percepiscono come lesioni all’opportunità di profitto sono invece conseguenza di decisioni prese a tutela della salute dei cittadini e della sicurezza alimentare e ambientale.
Ma i problemi legati a questo trattato sono diversi, come la messa a rischio del principio di precauzione, secondo il quale in Europa un prodotto può essere messo in vendita solo quando ne è dimostrata la sicurezza, mentre in USA vale il principio diametralmente opposto (ovvero un prodotto può essere venduto finchè non si dimostri nocivo). E in tutto questo scenario occorre ricordare come la maggioranza delle aziende agroalimentari italiane siano molto piccole e di come solo il 5% circa esporti i propri prodotti (per altro per lo più all’interno dell’UE), e quindi questa rischia di essere un’operazione a tutto vantaggio dei grandi gruppi.
Trovo che nei prossimi mesi sarà fondamentale tenere alta l’attenzione su questo grande argomento, in modo che ci sia il margine per un confronto democratico
Intervista di S.L.