Il tema dello sviluppo sostenibile, compatibile quindi con la salvaguardia dell’ambiente, è anno dopo anno sempre più importante e urgente. Rispetto a questo, le implicazioni con il mondo del food sono sotto gli occhi di tutti noi: abbiamo visto, ad esempio, come ci sia un forte legame tra la filiera e i consumi, alimentari ma non soltanto, e fenomeni come la deforestazione o il cambiamento climatico. Anche gli scarti di lavorazione agro-industriale hanno un notevole impatto ambientale. Ecco perché oggi molte aziende stanno cercando delle soluzioni alternative per riciclare questi “sottoprodotti” che non sono più quindi rifiuti o scarti ma risorse preziose. Anche in agricoltura, dunque, si sta facendo largo il concetto di bioeconomia, con cui si intende “la produzione sostenibile di risorse biologiche rinnovabili e alla conversione di tali risorse e dei flussi di rifiuti/scarti in prodotti industriali a valore aggiunto, quali alimenti, mangimi, prodotti a base biologica, bioenergia” come scritto sul sito dell’Agenzia per la Coesione Territoriale, in cui si può leggere la Strategia italiana per la Bioeconomia promossa dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Insomma, l’obiettivo presente (e futuro) è guardare a tutti quei materiali – organici, soprattutto – che vengono scartati durante il processo produttivo e che invece possono essere destinati a nuova vita. Da ciò che avanza dalla lavorazione del latte o della frutta, dunque, possono essere creati prodotti differenti, dai mangimi per animali al combustibile, fino ad arrivare alla creazione di veri e propri vestiti. Del resto, si sa, la moda – in particolare, il fast fashion – è una delle industrie col più alto impatto ambientale: perché allora non provare a riutilizzare gli scarti alimentari per creare tessuti innovativi ed ecologici?
In questo articolo, scopriamo alcune realtà interessanti o prodotti curiosi realizzati proprio a partire da ciò che, di solito, sarebbe destinato a essere buttato.
Riutilizzare gli scarti alimentari: le realtà innovative nel settore tessile
Non chiamateli più “rifiuti” di lavorazione, dunque, perché anche questi possono trovare nuova dignità e contribuire a costruire un mondo più attento all’ambiente, riducendo la produzione di gas serra e il consumo di acqua, ad esempio. Se da una parte è possibile riciclare gli scarti per creare fonti di combustibili alternative o addirittura dei “mattoni di latte”, come nel caso dell’azienda virtuosa Milk Brick di cui vi abbiamo parlato in un precedente articolo, l’industria tessile è una di quelle che sta cercando di spingere di più in questa direzione. Il settore della moda, infatti, contribuisce con le sue 1,7 miliardi di tonnellate di CO2 all’anno, alle emissioni globali di gas serra, come si legge nel rating portato avanti dal WWF. Inoltre, la filiera di produzione consuma eccessive quantità di acqua e rimane il problema dello smaltimento dell’invenduto. Anche l’opinione pubblica, oggi molto attenta a certe tematiche, sta spingendo le aziende a trovare soluzioni più rispettose dell’ambiente, e così finalmente si stanno diffondendo nuovi tessuti e capi riciclati grazie a innovative tecniche di produzione. Vi abbiamo già raccontato di Orange Fiber, l’azienda di Catania che realizza una fibra simile alla seta a partire dagli scarti degli agrumi, o ancora di Origami Organics, una giovane start up che ha creato un filato ricavato dalla caseina, proteina del latte, particolarmente indicato per i bambini. Ma agrumi e latte non sono gli unici scarti organici che possono essere trasformati: scopriamo insieme gli altri!
Finta pelle ricavata dai funghi – “MuSkin” di Grado Zero Innovation
Partiamo dai funghi. Da anni si cercano alternative più sostenibili alla pelle, che non sia quella sintetica, per cui spesso si impiega la plastica. Grado Zero Innovation, una società di ricerca applicata, consulenza e prototipazione di nuovi materiali e tecnologie innovative, ha ideato “MuSkin”, un’eco-alternativa 100% vegetale alla pelle animale. L’idea nasce quando il team dell’azienda si imbatte in un fungo spontaneo molto particolare, il Phellinus ellipsoideus. Non è commestibile, va specificato, ma rappresenta comunque un elemento che indebolisce agli alberi che lo ospitano e che, invece, ha grandi qualità da sfruttare nel tessile. L’aspetto simile al velluto, infatti, e le sue caratteristiche (la particolare antibattericità e la flessibilità) hanno permesso, dopo anni di lavorazione, di creare una sorta di simil-pelle, atossica e anche biodegradabile e compostabile, come ci ha raccontato Giada Dammacco, co-fondatrice dell’azienda, intervistata da Angela Caporale su questo particolare materiale e i suoi utilizzi.
Seta di banana
Avete mai pensato di indossare un capo in fibra di banana? Beh, a quanto pare già i giapponesi erano soliti coltivare il banano per ricavarne dei tessuti. In questi ultimi anni, sono varie le realtà che stanno sperimentando in questa direzione, utilizzando prodotti di scarto di pianta e frutto per realizzare nuovi materiali impiegabili nell’industria tessile. Ad esempio, l’Università di Scienze Applicate di Lucerna, in Svizzera, sta portando avanti un progetto che vede utilizzato un prodotto di scarto, ossia la parte della pianta da cui si sviluppa il casco di banane, noto come pseudofusto, che viene tagliata dopo ogni raccolto, operazione che ai contadini indiani (essendo l’India è uno dei maggiori produttori mondiali) costa parecchio. Dalle parti più grezze dello pseudofusto sembra sia possibile ricavare fibre perfette per realizzare, ad esempio, tappeti o tessuti di rivestimento, mentre la parte centrale, più fine e pregiata, si adatta all’impiego nel settore dell’abbigliamento.
Eco-pelle di ananas
Borse in eco-pelle di ananas? Non è un sogno ma realtà. Già da parecchi anni l’imprenditrice spagnola Carmen Hijosa ha brevettato e messo in commercio Piñatex, una pelle 100% vegetale ottenuta da una lavorazione particolare delle foglie, un materiale alternativo ed ecosostenibile ideale soprattutto per borse e scarpe (proprio come la pelle animale). A quanto pare, per un m.q. di Piñatex servono circa 480 foglie, con un investimento economico decisamente inferiore rispetto alla produzione della pelle tradizionale, oltre che una notevole riduzione dell’inquinamento e del consumo dell’acqua. Il risultato è un tessuto destinato a realizzare vari prodotti, dagli interni delle auto agli accessori nel mondo della moda.
Il caffè oltre al tazza
Il caffè è una delle bevande più consumate al mondo (e noi italiani lo sappiamo bene), ma la quantità di scarti che produce è notevole. Per questo c’è chi ha pensato di riciclare i fondi per concimare le piante, ad esempio, mentre un’azienda taiwanese, la Singtex, ha inventato il primo filato di caffè ecologico, S.Café®, nel 2008. È realizzato a partire da fondi di caffè e bottiglie di plastica e si presenta come un tessuto con tantissime qualità: è antiodore, ad asciugatura rapida e resistente ai raggi UV. Questa tecnologia, che ha ottenuto importanti riconoscimenti, viene impiegata per la creazione di diversi prodotti ecosostenibili e non utilizza solo i fondi riciclati come materiale di filato. Ad esempio, AIRMEM™ di S.Café® riutilizza il 26% di olio di caffè estratto dai fondi di caffè ormai esauriti. Un prodotto perfetto per sostituire i materiali a base di petrolio con un’alternativa più sostenibile.
Il tessuto dagli scarti dell’uva
È italiana l’idea di riutilizzare gli scarti dell’uva, ossia la vinaccia, un insieme di bucce, raspi e semi scartati durante la produzione del vino in collaborazione con alcune cantine e che invece potrebbe essere valorizzata. VEGEA ha quindi realizzato a partire da questo prodotto organico un innovativo materiale chiamato VegeaTextile e che può essere utilizzato per diverse applicazioni, dall’abbigliamento agli accessori, fino ad arrivare al packaging. Un prodotto che poteva nascere soltanto nel Belpaese, il più grande produttore mondiale di vino, e che potrebbe avere un potenziale notevole.
La “pelle” di mela
Possono gli scarti delle mele avere una seconda vita? La risposta è sì, e a pensarci è l’azienda Frumat di Bolzano, la città per eccellenza di questo frutto. Grazie alla creatività del titolare Hannes Parth, che riutilizza il 50% degli scarti provenienti dalle mele, si dà vita a un esempio virtuoso di economia circolare per abbattere gli sprechi. I risultati sono la creazione della cartamela e della pellemela. La prima, ottenuta da cellulosa pura arricchita con scarti di mela, si presta a molteplici declinazioni: dai fazzoletti alla carta da cucina alla carta igienica, passando per le scatole per il packaging. La seconda, invece, come suggerisce il nome, è una sorta di ecopelle ricavata dalle bucce e destinata al settore della legatoria, ma anche al rivestimento di divani e sedie e perfino alle calzature.
Cashmere di soia
La soia è un prodotto dai mille usi: da alimento per gli uomini a quello per gli animali, ma da qualche tempo gli scarti della sua lavorazione sono utilizzati per essere trasformati in fibra tessile e realizzare così abiti a basso impatto ambientale e cruelty-free. La particolarità di questo tessuto è la sua incredibile morbidezza, tanto da paragonarlo a una sorta di “cashmere vegetale”. L’idea a quanto pare è nata in Cina negli anni ‘90, ma da allora la Soybean Protein Fibre è stata esportata anche in Europa, grazie alle sue caratteristiche: è leggera ma resistente ed elastica, traspirante e antibatterica.
Conoscevate tutte queste possibilità di riutilizzare gli scarti alimentari per produrre tessuti innovativi e amici dell’ambiente? Sareste curiosi di indossare una scarpa fatta di pelle di fungo o un giubbotto realizzato a partire dal caffè?
Articolo scritto con il contributo di Francesca Bono.
Immagine in evidenza di: fabrics/shutterstock.com