Grano saraceno: la rinascita di una pianta virtuosa, dalla sua storia al suo utilizzo in cucina

 

In un’epoca in cui ci poniamo domande cruciali sul cibo, l’alimentazione, la salute, l’agricoltura e la biodiversità, il grano saraceno è una delle risposte. Noto soprattutto come alternativa gluten free al grano, in realtà dovrebbe essere inserito nei regimi alimentari anche da chi non soffre di celiachia, per le sue innumerevoli proprietà benefiche e per i suoi infiniti utilizzi in cucina. Questa pianta, infatti, è con noi da secoli, ma non è ancora diffusa tanto quanto si dovrebbe come invece ad esempio in Asia dove, come vedremo, ha origine e dove fa pienamente parte di tanti piatti comuni. Oggi, anche grazie alla lettura del libro “Sarrasin” di Bertrand Larcher, una delle persone che sta facendo di più per valorizzare il grano saraceno, vi portiamo alla scoperta di questo ingrediente, in particolare in Bretagna, una delle maggiori zone produttrici in Europa. 

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Saraceno, un viaggio dall’Asia all’Europa

Iniziamo con il chiarire prima di tutto che cos’è: il saraceno infatti non è un cereale come il grano o il mais, come spesso si tende a pensare, ma una poligonacea, come il rabarbaro e l’acetosa. La confusione nasce dal fatto che spesso si usa in cucina come un cereale. Ce sono varie specie ma l’unica di nostro interesse, cioè quella più utilizzata e che mangiamo, si chiama Fagopyrum esculentum, di cui coltiviamo tre varietà per l’alimentazione: 

  1. il tradizionale saraceno argentato o grigio comune chiamato grano nero comune; 
  2. il saraceno La Harpe, una varietà sviluppata dall’Istituto Nazionale della ricerca agronomica a partire dalla varietà argentata, soprattutto in Bretagna; 
  3. il saraceno giapponese. 

Ma iniziamo dalla sua storia e dalla sua origine, cioè da come e quando questo prodotto è arrivato qui da noi dall’Asia. 

Storia, origine e arrivo in Europa 

Il grano saraceno ha origine in Cina, in particolare nelle regioni di Sichuan e Yunnan. La sua prima apparizione fu in una valle ai piedi dell’Himalaya, dove cresce ancora oggi allo stato selvaggio. Da settemila anni non ha fatto che continuare a diffondersi in tutte le altre regioni cinesi, e poi lentamente anche in altri paesi dove è diventato parte integrante dell’alimentazione, come ad esempio in Giappone (dove si è sviluppato soprattutto tra il 1603 e il 1867), Mongolia, Corea, Nepal, Tibet, Siberia, Russia e Europa dell’Est. Come avrete notato si tratta di luoghi che hanno un clima freddo, perché il grano saraceno ha bisogno di fresco e piogge in estate. Infatti, è impossibile trovarlo in paesi dove il clima è troppo secco, arido o tropicale perché non ama il calore o i terreni troppo ricchi e densi, ma preferisce quelli acidi e poveri, umidi e argillosi, quelli un po’ mobili che diventano compatti seccando. Per questo motivo il saraceno prospera dove il grano o il mais non lo fanno, ma in quei luoghi poche altre colture potrebbero resistere – se non nessuna. 

In Europa, il grano saraceno approdò prima nei Paesi Bassi, in Germania e in Francia, in particolare in Bretagna. Sul suo arrivo ci sono ancora varie teorie controverse, ma pare che sia giunto con le crociere del XII e XIII secolo, da cui il nome grano “saraceno”, termine associato genericamente a tutto ciò che viene da lontano durante il Medioevo. 

Le prime menzioni della sua coltivazione in Francia risalgono alla seconda metà del 1400, proprio in Bretagna, anche se inizialmente se ne parla con toni tendenzialmente dispregiativi, come cibo per animali. Ma lentamente, nei secoli a seguire, il grano nero si diffonde sempre di più, entrando a far parte anche dell’alimentazione umana: è in periodi di grande crisi economica che il saraceno fa fortuna, in quanto salva moltissimee famiglie dalla povertà e dalla fame per il suo basso costo e il suo alto potere nutritivo, figurandosi già come un ottimo sostituto del grano. A partire dal XVII secolo lo troviamo anche in Belgio, in Svizzera e nel Nord Italia fino a raggiungere il culmine nel XIX secolo, quando ad esempio in Francia nel 1862 si contano ben 740.000 ettari di saraceno coltivati. 

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Declino e rinascita

Nel corso del 1900, con la crescente urbanizzazione e industrializzazione, inizia un declino della coltivazione e della diffusione di questo prodotto: nel 1968 gli ettari coltivati in Francia si riducono a 22100, di cui la maggior parte in Bretagna. Inoltre, il saraceno non si adatta all’agricoltura industriale intensiva, che sembra invece imporsi nel corso del Novecento. Così, dal 1970 si inizia ad importarlo sempre di più dall’estero, da tutti quei paesi che non hanno mai smesso di produrlo. Una pratica che è rimasta attiva ancora fino ad oggi, visto che continuiamo a importare la maggior parte del saraceno che utilizziamo. 

Ma proprio negli ultimi decenni le cose stanno cambiando, anche grazie ad alcune personalità come Bertrand Larcher e altri coltivatori appassionati che si sono rimessi a coltivare questo grano contro la minaccia di una standardizzazione totale dell’agricoltura, soprattutto in Bretagna dove è un vero e proprio emblema, anche culturale, della regione. Nel 1987 è nata l’Associazione Grano Nero Tradizione Bretagna che ad oggi conta ben 800 produttori, più di 3000 ettari coltivati (soprattutto della varietà La Harpe), per una produzione di circa 4000 tonnellate all’anno. Possiamo quindi affermare che il saraceno sta tornando ufficialmente in auge, tanto da poterlo definire il grano del futuro. Ma come avviene la sua coltivazione?

La coltivazione del saraceno

Il saraceno è una pianta alta tra 80 cm e 1,20 m con tanti fiori piccoli tra il bianco e il rosa. I fiori sbocciano gradualmente in un arco di circa 50 giorni – per questo si inizia già a raccogliere prima che la fioritura sia terminata e non si raccoglie mai tutta in una sola volta. In tutto il ciclo del saraceno dura da 80-100 a 120-140 giorni (circa tre mesi): si tratta quindi di un ciclo molto breve, che lo rende ideale anche nei climi più difficili (come la Bretagna), inserendosi così perfettamente nella rotazione delle colture. Come anticipato, non ama il freddo, per cui si semina con l’arrivo del caldo, tra aprile e giugno. Dopo la fioritura estiva, che dura circa un mese, tra settembre e ottobre si raccolgono i suoi frutti secchi, da cui poi si ricava la farina. 

Oltre alla brevità, questa coltivazione ha vari aspetti positivi: innanzitutto è una pianta che ripulisce il terreno, eliminando essa stessa le erbe infestanti e le specie invasive. Per questo non ha bisogno di pesticidi o altre sostanze chimiche, anche perché non esiste praticamente nessuna malattia che possa attaccarla. Di base si tratta quindi di una coltivazione a metà tra il selvaggio e il coltivato: riesce cioè a difendersi da sola da malattie, parassiti e insetti ma allo stesso tempo si mette al servizio dell’uomo senza trasformarsi completamente. Per tutti questi motivi si adatta perfettamente alla coltivazione in biologico, quindi in piena armonia con le scelte agricole ed ecologiche che è importante fare oggi. 

Come anticipato, però, continuiamo ancora troppo spesso a importarlo da lontano, soprattutto dalla Cina, dall’Europa dell’Est e dal Canada, tra i maggiori paesi produttori. La Francia, ad esempio, produce solo il 30% di quello che consuma e quasi tutto viene dalla Bretagna. L’invito è quindi quello di informarvi sui coltivatori di grano saraceno più vicini a voi, perchè è importante valorizzare e sostenere i produttori locali più vicini: in questo modo avrete anche un maggiore controllo su come viene prodotto, osservando ad esempio se il saraceno viene lavorato in un mulino a pietra, il che permette di conservare meglio il suo sapore e le sue proprietà. 

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Le proprietà del grano saraceno

Come abbiamo visto, per anni il grano saraceno è stato ritenuto un elemento povero, di valore inferiore al grano. Ma di recente l’interesse nei suoi confronti è aumentato soprattutto grazie al fatto che si tratta di un alimento privo di glutine. Così si è iniziato ad utilizzarlo sempre di più, spesso come sostituto, completo o parziale, del grano, e si sono iniziate a studiare tutte le sue proprietà benefiche. 

Per adesso, gli esperti affermano con certezza che si tratta di un alimento ricco di: 

  • proteine
  • antiossidanti
  • vitamine soprattutto B1, B3 e B6 che aiutano il sistema nervoso 
  • minerali quali calcio, ferro, magnesio 
  • polifenoli complessi e preziosi
  • fibre che aiutano il corretto funzionamento intestinale

Inoltre, non ha zuccheri semplici, il che consente di limitare notevolmente il suo impatto glicemico sul corpo umano (a differenza del grano) e quindi il rischio di diabete. Non da meno è leggero, ben digeribile, ma allo stesso tempo il suo essere nutriente fa sì che dia un senso di sazietà. Infine, è molto versatile in cucina.

Il saraceno nelle cucine del mondo

La maggior parte delle persone conosce solo una piccolissima parte dei piatti e delle applicazioni in cucina del grano saraceno. In Italia, in primis tra tutti, ci sono senza dubbio i pizzoccheri della Valtellina. In Francia, invece, tutti collegano questo prodotto alla gallette bretone o alla bouillie di saraceno, un piatto povero di campagna, una sorta di polenta che si prepara con farina di saraceno, latte e burro. Ma la più parte ignora ancora l’infinità di prodotti che si possono ricavare da questo ingrediente. 

Oltre alla pasta e alla farina, la gastronomia francese ha iniziato a valorizzare il grano saraceno in pasticceria: è così che lo troviamo in biscotti, gelati, torte, caramelle e anche in alcune versioni alternative dei più classici dessert nazionali quali finanziera o madeleine, che così possono essere gustati anche in versione gluten free. Un grande lavoro si sta portando avanti sul pane, ma in questo caso sempre mescolando la farina di saraceno con quella di grano. 

Non da meno i progressi nel campo delle bevande: i bretoni sono stati anche i primi a produrre sia tisane che birra e whisky a partire dal malto di saraceno. Ma uno dei prodotti più ricercati è il miele di saraceno che, a proposito di effetti benefici, ne possiede parecchi: è antiossidante, antisettico, antibatterico, ricostituente e ricco di ferro; inoltre aiuta il sistema digestivo e intestinale, dà sollievo alle vie respiratorie grazie alle sue virtù rilassanti e non da meno ha un potere calmante sulle bruciature e le ferite della pelle, favorendo rapidamente la cicatrizzazione. Pensate che da un ettaro di saraceno si possono ricavare 150 kg di miele, anche perché le api sono molto attratte dalla sua pianta.

Facciamo ora un breve viaggio in alcuni paesi dell’Asia, dove il saraceno ha avuto origine, per vedere in che piatti lo troviamo. In Giappone, ad esempio, si utilizza soprattutto nei soba, i classici noodles di saraceno che si consumano quasi tutti i giorni, che a differenza di quelli coreani e cinesi vengono tagliati al coltello, presentandosi quindi come più corti; si mangiano sia caldi in un brodo che freddi in accompagnamento a delle salse. Ma in Giappone il saraceno è talmente importante che tra ottobre e novembre ci sono tantissime feste in suo onore, soprattutto sull’isola di Honshu. 

Ci sono poi anche i oyaki, dei bigné di grano nero tipici della regione di Nagano dove il clima rude ostacola la coltivazione del riso, che viene così rimpiazzato dal saraceno. E sempre qui si coltiva anche una varietà meno nota, il saraceno rosso, dal color porpora dei fiori, chiamato akasoba.

In Corea, invece, il naengmyeon è una zuppa tradizionale che ha come ingrediente principale una pasta fresca di farina di saraceno e patate. Questa pasta si trova anche secca ma non è la stessa cosa, in quanto va buttata fresca appena fatta nel brodo, insieme a kimchi, verdure, carne di maiale e uovo sodo. I coreani sono talmente legati a questo piatto che esistono tantissimi ristoranti appositi, cioè dedicati solo a questa sorta di ramen coreano. In Cina è diffuso soprattutto nel nord (come in Italia, sempre nelle regioni più fredde) dove lo troviamo sia nei noodles che nei ravioli, i gyoza

In Russia si mangia per colazione la kacha, una sorta di porridge a cui ognuno aggiunge ciò che preferisce, come formaggio, cereali o funghi, che i russi ritengono l’accompagnamento ideale del saraceno. Non dimentichiamo poi l’America del Nord, dove ormai troviamo il saraceno anche in muffin e pancake.  

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Bertrand Larcher e la sua valorizzazione del saraceno bretone 

Ma torniamo ora da dove siamo partiti, ovvero all’autore del libro “Sarrasin”, Bertrand Larcher, da conoscere poiché si tratta di una delle personalità che più di tutte sta facendo per valorizzare e far conoscere il saraceno, sia in Francia che nel mondo – il suo lavoro si sviluppa infatti tra la Bretagna e il Giappone. 

Figlio di agricoltori e oggi produttore di grano saraceno, è anche un grande imprenditore che ha aperto ormai tantissime sedi della nota creperie Breizh Café: la troviamo infatti a Cancale e Saint Malò in Bretagna, poi in varie sedi a Parigi e da poco anche a Lione e Bordeaux. In tutti i suoi locali utilizza solo Grano Saraceno Bretone IGP certificato del Moulin de la Fatigue, che nel 1987 fu il primo mulino ad associarsi al movimento di rinascita di questo prodotto locale. Di recente ha aperto la Maison du Sarrasin, cioè la Casa del Saraceno, sia a Saint Malò che a Fougères, sempre in Bretagna, dove porta avanti la cultura di questo prodotto a 360 gradi. Ma Bertrand Larcher continua ad avere un forte legame anche con il Giappone, dove ha aperto la prima creperie bretone, chiamata “La Bretagna”. E vista la presenza da secoli del saraceno nell’alimentazione giapponese non è stato difficile far apprezzare le gallettes, che vengono viste semplicemente come un altro modo di consumare questo prodotto. E così in Bretagna ha aperto dei ristoranti giapponesi, dove propone piatti a base di soba preparati con saraceno bretone, dimostrandoci  quanto siamo solo all’inizio di questo viaggio, che porterà alla rinascita e a una sempre maggiore diffusione di questo grano nero.

Ah, infine: lo sapevate che in Francia esiste anche il mestiere del sarrasinologue, cioè colui che studia e insegna la storia del saraceno? 


Immagine in evidenza di: Avocado_studio/shutterstock.com

 

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