Agricoltura spaziale

Space farming, che cos’è e come funziona l’agricoltura spaziale

Angela Caporale
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    L’idea di coltivare l’insalata nello spazio sembra appartenere soltanto al mondo della fantascienza e dell’immaginazione. Eppure non è così e, anzi, lo space farming, che in italiano traduciamo con “agricoltura spaziale”, è un’area di sviluppo e interesse decisamente pratica e concreta. Non si tratta di una maniera per garantire il sostentamento degli astronauti durante missioni di lunga durata, ma della sperimentazione di tecnologie che potrebbero rivoluzionare l’agricoltura sulla Terra. L’agricoltura spaziale rappresenta, infatti, un campo di ricerca in continua evoluzione, in cui scienza, tecnologia e sostenibilità si incontrano per affrontare alcune delle sfide più complesse del nostro tempo.

    Dalle agricolture estreme allo space farming

    Il connubio tra innovazione, tecnologia e agricoltura è uno dei cardini dello sviluppo del settore del food negli ultimi anni. Del resto, investire in questo ambito è una vera e propria necessità per far fronte al bisogno di nutrire il Pianeta e, allo stesso tempo, contrastare gli effetti della crisi climatica. Non è, dunque, una novità il fatto che esistano tecniche che appartengono all’ambito delle “agricolture estreme”. Si tratta di pratiche agricole sviluppate per coltivare piante in condizioni ambientali particolarmente difficili, dove i metodi tradizionali non possono essere applicati. Questi tipi di agricoltura sono necessari in luoghi come i deserti, le regioni artiche o le zone colpite da forti cambiamenti climatici, dove la disponibilità di acqua, nutrienti e suolo fertile è limitata. Tecniche come l’idroponica, che permette di coltivare piante senza terra, e l’aeroponica, che utilizza un sistema di nebulizzazione per nutrire le radici sospese nell’aria, sono state sviluppate proprio per affrontare queste sfide.

    Aeroponica

    Cergios/shutterstock

    Questi sistemi sono progettati per massimizzare l’efficienza delle risorse, riducendo l’uso di acqua e migliorando la resa in ambienti inospitali. Ad esempio, l’agricoltura idroponica è già utilizzata in deserti come il Negev, in Israele, per coltivare ortaggi in assenza di suolo fertile, mentre l’aeroponica è stata sperimentata con successo in climi freddi come quelli dell’Artico, dove le stagioni di crescita sono brevi e le condizioni ambientali sono proibitive per l’agricoltura tradizionale.

    Lo space farming, o agricoltura spaziale, è un’estensione logica di queste pratiche, applicata in uno degli ambienti più estremi e inospitali che si possa immaginare: lo spazio. In questo contesto, coltivare piante non è solo una sfida tecnica, ma una necessità vitale per garantire la sopravvivenza degli astronauti durante missioni di lunga durata. 

    L’agricoltura spaziale sfrutta tecnologie avanzate come l’idroponica e l’aeroponica per coltivare piante in ambienti privi di gravità e di suolo terrestre. Inoltre, l’uso di bioreattori e l’illuminazione a LED calibrata su specifiche lunghezze d’onda per ottimizzare la fotosintesi è impiegato per replicare le condizioni di crescita che, sulla Terra, sarebbero garantite dalla luce solare. Queste tecnologie permettono alle piante di crescere in spazi confinati, con risorse limitate, mantenendo un ciclo di coltivazione sostenibile.

    Perché coltivare nello spazio?

    Coltivare piante nello spazio potrebbe sembrare un’impresa complessa e costosa e di fatto lo è, ma le motivazioni che spingono scienziati e agenzie spaziali a investire in questo campo sono molteplici e ben fondate. La prima ragione riguarda il sostentamento degli astronauti, ma l’utilità dei programmi di space farming non si conclude qui. Le piante, infatti, svolgono un ruolo cruciale nella rigenerazione dell’aria, producendo ossigeno e contribuendo alla rimozione dell’anidride carbonica, un processo fondamentale in ambienti chiusi come le stazioni spaziali. Inoltre, la coltivazione nello spazio consente di sperimentare e sviluppare nuove tecnologie agricole che potrebbero essere applicate anche sulla Terra, soprattutto in ambienti estremi o in situazioni di crisi alimentare. Di fatto, l’agricoltura spaziale apre la strada a una serie di innovazioni tecnologiche che potrebbero rivoluzionare il settore agricolo “terrestre”. 

    Grano e lattuga commestibile per l’uomo, cosa è stato coltivato per ora nello spazio

    Campo di grano sotto cielo stellato

    George Trumpeter/shutterstock

    In pratica cosa si coltiva nello spazio? Il luogo dove sono stati realizzati la maggior parte degli esperimenti è la Stazione Spaziale Internazionale (ISS), condotti dalle principali agenzie spaziali come la NASA, l’Agenzia Spaziale Europea (ESA) e Roscosmos. Questi esperimenti hanno fornito preziose informazioni su come le piante possono crescere e svilupparsi in condizioni di microgravità e in ambienti estremamente controllati.

    Uno dei programmi più noti è il Veggie Plant Growth System, sviluppato dalla NASA, che ha permesso di coltivare con successo diverse specie di piante sulla ISS. Iniziato nel 2014, questo progetto ha portato alla coltivazione di lattuga rossa romana, zinnie e persino piante di grano. I risultati sono stati molto promettenti: la lattuga, per esempio, è stata dichiarata sicura per il consumo umano.

    L’Agenzia Spaziale Europea (ESA) ha condotto diversi esperimenti nell’ambito del programma MELiSSA (Micro-Ecological Life Support System Alternative), un progetto volto a sviluppare un sistema chiuso di supporto vitale per le missioni spaziali di lunga durata. Nell’ambito di questo programma, la coltivazione di piante come il grano, la barbabietola e la spirulina è stata sperimentata per produrre cibo e ossigeno.

    Un esempio più recente è il progetto Advanced Plant Habitat (APH) della NASA, iniziato nel 2018. Questo esperimento ha permesso di coltivare piante di Arabidopsis, un piccolo fiore utilizzato comunemente come organismo modello nella biologia vegetale, e grano. L’APH è uno dei sistemi di coltivazione più avanzati utilizzati nello spazio, dotato di controlli ambientali sofisticati che permettono di studiare in dettaglio come le piante rispondono a vari stress ambientali nello spazio.

    Costi, incertezza e limiti dell’agricoltura spaziale

    space farming

    tsuneomp/shutterstock

    Nonostante i numerosi benefici e le potenziali innovazioni che l’agricoltura spaziale potrebbe portare, questa disciplina affronta ancora diverse sfide e limiti significativi. Uno dei principali ostacoli è rappresentato dalle condizioni ambientali estreme nello spazio, ma non è il solo.

    L’investimento necessario per sviluppare, testare e implementare tecnologie agricole nello spazio è estremamente alto. Questi costi comprendono non solo la ricerca e lo sviluppo, ma anche il trasporto di materiali e attrezzature nello spazio, un’operazione che rimane tuttora molto costosa. Questo limita l’accessibilità e la scalabilità dello space farming, almeno nel breve termine. Ci sono anche dei limiti logistici e operativi: coltivare piante nello spazio richiede un monitoraggio costante e un alto livello di competenza tecnica, nonché la necessità di adattare le operazioni agricole alle specifiche esigenze delle missioni spaziali. 

    In sintesi, sebbene lo space farming rappresenti una frontiera promettente per l’agricoltura e l’esplorazione spaziale, le sfide tecniche, economiche e operative rimangono significative. E finché questi limiti non saranno superati è difficile pensare che diventi più di una sperimentazione episodica. 

    Affinché lo space farming possa diventare una pratica comune, sarà necessario continuare a investire nella ricerca e nello sviluppo di soluzioni che rendano queste coltivazioni sostenibili e scalabili. Nel frattempo, ogni nuovo passo in questo campo ci avvicina un po’ di più a un futuro in cui l’umanità potrà non solo esplorare lo spazio, ma anche prosperare al suo interno, coltivando il proprio cibo e creando nuove opportunità per il nostro pianeta. È una prospettiva che ti affascina?


    Immagine in evidenza di: Nikolay_E/shutterstock

    Angela, con passaporto friulano e cuore bolognese, vive a Udine e si occupa di giornalismo e comunicazione in ambito culturale e sociale. Ha pubblicato due libri e dal 2016 collabora con Il Giornale del Cibo, dove scrive di sostenibilità, sociale e food innovation. Il suo comfort food sono i tortelloni burro e salvia, per i quali ha imparato a fare la sfoglia, condividendoli ogni volta che ne sente il bisogno.

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