Di cucina pied-noir non si parla tanto perché viene spesso associata al colonialismo francese. “Questo è un vero peccato”, dice Lucile Philippon, figlia, nipote e pronipote di pieds-noirs d’origine francese e spagnola da parte di madre, nonché grandissima cuoca e appassionata di cucina, che abbiamo incontrato per saperne di più. “Ed è un peccato perché moltissimi italiani, ebrei, spagnoli, francesi e maltesi si trasferirono in Algeria ben prima della colonizzazione militare della regione, risalente all’800, quindi la nascita di questa cucina, che è un vero melting pot di popoli, precede quella vicenda”. Inoltre, si tratta di una cucina che si tramanda oralmente, per cui è importante parlarne così come di tutte le tradizioni orali, affinché continuino a vivere nella memoria collettiva e non vadano perdute, mantenendo vive le radici di un popolo. “Se non cuciniamo questi piatti e se non ne parliamo, la cucina pied-noir è destinata a sparire, insieme agli ultimi pieds-noirs. Per questo io la cucino sempre per le mie figlie, per passare il testimone alle nuove generazioni, proprio come mia nonna Lucienne Avril Cuenca ha fatto con me!”.
Andiamo quindi alla scoperta di questa tradizione e di tre ricette pied-noir, ma non senza prima aver fatto un necessario ripasso storico.
Chi sono i pieds-noirs
Pied-noir in francese significa letteralmente “piede nero” e indica i francesi ritornati in patria dall’Algeria a partire dal 1962, cioè alla fine della guerra d’indipendenza algerina.
Questo termine, storicamente legato ai francesi d’Algeria, si è gradualmente esteso anche ad altri francesi rimpatriati dal Maghreb. Oggi, continua ad essere ampiamente utilizzato, soprattutto in Francia.
La maggior parte dei pieds-noirs in Algeria era concentrata a Bouna (anche nota come Annaba), Algeri e soprattutto Orano, come la famiglia di Lucile e come i piatti di cui vi parleremo oggi. Ormai perfettamente integrati, i pieds-noirs avevano sostenuto il ritorno del Generale Charles De Gaulle alla presidenza della Repubblica Francese per risolvere la crisi algerina scoppiata nel maggio 1958 e si sentirono traditi dalla sua decisione di concedere l’indipendenza al Paese nord africano. Così, ben 900.000 francesi lasciarono l’Algeria in pochissimo tempo e la maggior parte di loro si stabilì intorno a Marsiglia, il porto più vicino alla Francia. Fu il più grande trasferimento di persone dalla fine della seconda guerra mondiale, tanto che nel 1990 i pieds-noirs in Francia avevano raggiunto il milione, mentre quelli rimasti in Algeria erano meno di 2000.
“Quando i pieds-noirs hanno lasciato l’Algeria, è successo tutto molto in fretta”, ci racconta Lucile, “per cui molte persone non hanno potuto portare con sé molte cose materiali da casa. Questa cucina ha quindi attraversato il mare, nella testa e nel cuore delle persone, per questo credo sia una cucina di grande generosità e condivisione”.
A questo proposito, è molto significativo un passaggio tratto da “Le Livre de la cuisine pied-noir”, di Irene e Lucienne Karsenty: “Lasciando il nostro paese, abbiamo perso tutto. Solo una cosa ci resta sempre viva: il ricordo. E nulla lo rende più vivo della nostra cucina, questa tradizione calda e colorata che ci ricollega a tutto quello che abbiamo amato, restituendoci un po’ di profumo della nostra terra. Per questo parlare di piatti pied-noir non significa solo ricette, ma è l’indispensabile terreno fertile nel quale tutto un popolo continua a nutrire le sue radici”.
La cucina pied-noir
Nessuno meglio di Lucile può aiutarci a dare una definizione di cucina pied-noir: “è una cucina antica, di casa e di tradizione orale, con ricette che si trasmettono da generazione a generazione”. Non esistendo infatti più un “luogo pied-noir”, ma essendosi diffusi altrove, si tratta di una cucina di famiglia: per Lucile i piatti pied-noir sono quelli di sua nonna Lucienne, che aveva scritto a mano un grande libro di ricette. Testi che Lucile consulta regolarmente e da cui ogni volta prende ispirazione. “Mia nonna diceva e così scriveva sempre: ‘metti un po’ di questo, circa un bicchiere di questo, tocchi e vedi se è pronto…’. Insomma, una cucina più di casa di così! Le sue ricette sono tutte da interpretare e da capire; e in alcuni casi devo ricordarmi come faceva”. Dunque si conferma quanto scritto anche da Karsenty, cioè che la cucina, per chi non ha più una terra, diventa un modo per mantenere la propria identità e per sentire ancora vivo un senso di appartenenza.
Nella cucina pied-noir confluiscono e si sentono tantissime influenze: innanzitutto, come vi avevamo già anticipato a proposito della cucina algerina, la lunga colonizzazione francese ha lasciato molte tracce. Lo stesso è successo con tutti gli altri popoli che hanno vissuto in Algeria: arabi, berberi, turchi e spagnoli in particolare hanno lasciato in dote diversi piatti prelibati a base di carne, pesce e riso, come ad esempio il caldero, di cui vi parleremo oggi. Non dimentichiamo, inoltre, che in Algeria viveva una delle più antiche comunità ebraiche, e che i vicini Marocco e Tunisia hanno sempre esercitato la loro influenza, anche in campo gastronomico. Nelle pietanze pied-noir possiamo quindi individuare sia una forte componente mediterranea, sia una orientale, dominante, che si evince soprattutto dall’utilizzo di tantissime spezie, onnipresenti, come la paprika o lo zafferano. “Insomma, è una cucina di melting pot, in cui si sono mischiati i savoir-faire e le tradizioni ancestrali di tutte le culture e le religioni che hanno popolato i Paesi del Maghreb in quell’epoca”, continua Lucile. “Abbiamo aperto le frontiere culinarie con questa cucina, che nel tempo si è formata e sviluppata grazie agli uni e agli altri, diventando per sua natura estremamente conviviale”.
Inoltre, nella cucina pied-noir ci sono moltissime differenze regionali, che sono fondamentali: ad esempio, il cous cous con la trippa si trova solo nella zona di Algeri, così come il caldero in quella di Orano.
Come anticipato della cucina pied-noir si parla poco, tant’è che è difficilissimo riuscire a trovare libri o informazioni a riguardo. Ve ne citiamo quattro:
- “A table avec les Pieds-Noirs”, di Pierrette Chalendar
- “Recettes Pieds-Noirs de nos Grands-Mères”, di Louis Gildas
- “Mémoire et cuisine des pieds-noirs – La Nostalgérie”, di Brigitte Ehrohlt
- “Le Livre de la cuisine pied-noir”, di Irene e Lucienne Karsenty, da cui abbiamo tratto le tre ricette che seguono.
Sono tre ricette preziose, così come sono pregiate tutte le preparazioni di quei popoli che non hanno più una terra di riferimento e che si sono diffusi e dispersi nel mondo“Possa la cucina pied-noir contribuire a perpetuare la civilizzazione di un paese che non è stato dimenticato per quelli che l’hanno amato e di farlo amare a quelli che non l’hanno conosciuto”, rimarca Lucile.
3 ricette pied-noir
Abbiamo scelto tre ricette pied-noir, più nello specifico di Orano, città sulla costa nord-occidentale, prese dal libro di Irene e Lucienne Karsenty. Come anticipato, esiste una grande differenza regionale, per cui non troviamo questi piatti nell’entroterra del Paese o nella zona di Algeri. “È stata chiaramente una scelta personale” dice Lucile, “perché ogni famiglia ha i suoi piatti, e questi tre sono la memoria della mia famiglia, quelli che mia nonna Lucienne cucinava ogni volta che ci trovavamo riuniti, quando ci raccontava storie e ricordi di questo paese perduto”. Le dosi che seguono sono per 5 /6 persone.
La ricetta del Caldero
Si tratta di una sorta di zuppa di pesce che si mangia con una pasta lunga o con il riso. Di base si tratta di un piatto che troviamo dalla Spagna, nella regione della Murcia, alla Toscana, in particolare all’Argentario, dove si chiama Caldaro ed è molto simile alla versione pied-noir che vi proponiamo oggi, solo che al posto del riso si utilizza il pane.
La particolarità di questa prelibatezza è la presenza della ñora, un peperoncino dolce ed essiccato, molto utilizzato nella cucina pied-noir. “È veramente molto difficile trovare delle buone ñoras, bisogna avere una nonna come la mia per sapere dove prenderle e soprattutto come sceglierle!”, spiega Lucile. Prima di procedere con questa ricetta, vi ricordiamo brevemente che la rouille (dal francese “ruggine”, per il suo colore) è una salsa molto diffusa in tutto il Mediterraneo, che si prepara in tanti modi differenti, ma che si accompagna quasi sempre a piatti di pesce.
Ingredienti
- 3 kg di pesce (scorfano, grongo, orata, triglia, rana pescatrice)
- 1 kg di pesce per la zuppa (tipo i labridi, che comprendono circa 500 specie di piccoli pesci ossei marini molto diffusi nel Mediterraneo), oppure una zuppa di pesce già pronta
- 400 g di riso
- 1 bicchiere di olio
- 3 pomodori
- 6 spicchi d’aglio
- 1 grosso mazzo di prezzemolo
- 2 foglie di alloro
- 2 g di zafferano
- 1 cucchiaio di pastis
- 1 scorza d’arancia
- 3 l di acqua
- qb ñora (o di un altro peperoncino essiccato)
- qb sale
- qb pepe
Per la rouille:
- 6 spicchi d’aglio
- 1 grande bicchiere di olio d’oliva
- 1 tuorlo d’uovo
- 1 cucchiaino piccolo di harissa (la salsa rossa piccante che ormai trovate ovunque)
- 1 tazza di brodo
Procedimento
Prima di tutto svuotate e pulite bene i pesci. Poi passate a queste tre preparazioni.
Per il brodo:
- Scaldate l’olio in una grande padella. Fate dorare l’olio, poi aggiungete il peperoncino e i pomodori tagliati in 4. Aggiungete il chilo di pesce per la zuppa e fate cuocere a fuoco lento per 30 minuti.
- Versate 3 litri di acqua calda. Aggiungete in quest’ordine sale, pepe, scorza di arancia, alloro, prezzemolo, zafferano e un cucchiaio di pastis. Fate sobbollire a fuoco medio per 30 minuti.
- Passate il brodo con un passaverdure e rimettere sul fuoco dopo averne presa una tazza per la rouille.
Per il pesce e il riso:
- Aggiungete i 3 kg di pesce nel brodo bollente. Dopo 15 minuti di cottura, toglieteli e metteteli da parte al caldo.
- Versate il riso nel brodo, fatelo bollire per 18 minuti in modo che non assorba la totalità del brodo.
Per la rouille:
- Pelate l’aglio in un mortaio, aggiungete il tuorlo d’uovo, versate qualche goccio di olio. Continuate come per la maionese. Aggiungete l’harissa e versate lentamente il contenuto della tazza nel brodo tiepido mescolando.
- Servite il riso nel recipiente dove è stato cotto, il pesce su un piatto separato e la salsa rouille a parte come accompagnamento.
La ricetta del Potaje, la zuppa pied-noir per eccellenza
Questa, invece, è una zuppa più di terra e di campagna, a base di carne di maiale (e a volte anche di manzo), ceci, fagioli, una pastina da minestra e varie verdure fresche, variabili a seconda della disponibilità e della stagione. “È un piatto estremamente povero, che ogni famiglia prepara in modo diverso a partire da quello che ha, ma è il primo che ho imparato a cucinare con mia nonna e ripensarci mi emoziona ancora oggi. Per questo lo preparo sempre per il mio compleanno pensando a lei: le mie figlie ne vanno matte ed è anche stata la prima pietanza pied-noir che ho fatto scoprire al mio compagno”, ci racconta Lucile.
Ingredienti
- 1 stinco o zampa di maiale
- 500 g di carne di manzo
- 1 ossobuco
- 100 g di ceci messi a bagno il giorno prima
- 100 g di fagioli bianchi messi a bagno il giorno prima
- 150 g di carote
- 150 g di rape
- 250 g di cardi
- 50 g di pasta piccola da minestra
- 2 pomodori
- 2 cipolle
- 50 g di riso
- qb sale
- qb pepe
- 4 l di acqua
Procedimento
- In una grossa pentola, mettete le due carni, ceci e fagioli e aggiungete l’acqua. Fate bollire (e mantenete l’ebollizione) per un’ora.
- Aggiungete tutte le verdure restanti tagliate a cubetti, regolate di sale e pepe e aggiungete dell’acqua calda se necessario.
- 15 minuti prima di servire, aggiungete il riso e la pasta.
- Disponete la carne su un piatto e versate in una zuppiera la zuppa accompagnata dai legumi.
La ricetta del Gaspacho di Orano
Dimenticatevi quello freddo spagnolo: questo è il gaspacho pied-noir (badate bene che si scrivono anche diversamente, il primo con la “z” e l’altro con la “s”). Tradotto letteralmente, il nome di questo piatto indica l’atto di intingere il pane in un liquido, che sia una zuppa o una salsa e questo, in effetti, non cambia in entrambi i casi. Nella versione di Orano non si tratta di una zuppa fredda con peperoni, pomodori, cetrioli, cipolla e aglio, come nel gazpacho spagnolo, ma di un insieme caldo di più carni (pollo, maiale, piccione, vitello) cotte a lungo con cipolla e pomodoro. A mano, si preparano delle gallette con acqua e farina da cuocere poi in forno; una volta essiccate prima di servire il piatto si tagliano in vari pezzi (una cosa che i bambini adorano) per poi intingerle nel gaspacho dove si gonfieranno. Una vera delizia!
Ingredienti
- 700 g di sella o filetto di coniglio
- ½ pollo
- 500 g di arista e lombo di maiale
- 1 piccione
- 1 cipolla
- 2 pomodori
- ¾ di un bicchiere di olio d’oliva
- 1 grosso mazzo di prezzemolo
- 4 teste d’aglio
- 1 foglia di alloro
- 2 g di zafferano
- 2 l di acqua
- qb sale
- qb pepe
Per l’impasto iniziale:
- 150 g di farina
- 1 cucchiaino di sale
- 1 bicchiere d’acqua
Procedimento
- In una terrina, mischiate l’acqua e la farina, impastate e salate.
- Stendete la pasta con un mattarello e formate due o tre gallette da 2 millimetri di spessore. Infornatele su una teglia infarinata e lasciatele cuocere a fuoco medio per 15 minuti. Toglietele dal forno e lasciatele raffreddare.
- In questo tempo, fate andare tutti i pezzi di carne tagliati a pezzi in una pentola come quella che si utilizza per la paella, cioè con i due manici laterali, poi toglieteli.
- Nella stessa, fate dorare la cipolla tagliata e aggiungete i pomodori pelati e senza semi. Lasciate cuocere per 10 minuti, poi aggiungete i pezzi di carne che avevate messo da parte, coprite con 2 litri d’acqua e condite con sale, pepe, zafferano e alloro. Portate a ebollizione per 10 minuti.
- Sbriciolate le gallette nel brodo e fate cuocere a fuoco alto per 15 minuti.
- Un minuto prima di toglierlo dal fuoco, cospargete con aglio e prezzemolo tritati finemente e servite.
Allora, vi abbiamo fatto venire voglia di immergervi in questo mondo poco conosciuto della cucina pied-noir?