Torniamo a parlare di caporalato grazie a un recente rapporto realizzato da Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e ANCI, l’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani, che fotografa le condizioni e le situazioni abitative in cui si trovano oltre 10.000 lavoratori e lavoratrici sfruttati in agricoltura. Nonostante l’applicazione della Legge contro il Caporalato e le molte iniziative realizzate sui territori, il settore agricolo deve ancora fare i conti con la violazione dei diritti umani di molte persone che contribuiscono alla ricchezza del settore.
Il dato più preoccupante che emerge dal Rapporto è proprio quello che descrive l’ampiezza della questione. Almeno 10mila lavoratori agricoli migranti vivono in insediamenti informali in Italia, luoghi dove non esistono i diritti ma solo lo sfruttamento, e servizi essenziali e di integrazione sono totalmente assenti.
Il coinvolgimento degli enti locali per una mappatura senza precedenti
Il Rapporto “Le condizioni abitative dei migranti che lavorano nel settore agroalimentare” è stato pubblicato il 19 luglio scorso ed è frutto di un’indagine di ampiezza inedita, nell’ambito del Piano triennale di contrasto allo sfruttamento lavorativo in agricoltura e al caporalato che fornisce, per il triennio 2020-2022, un quadro generale di cooperazione tra tutti gli attori coinvolti.
Non è un caso che il Rapporto sia stato realizzato dalla Fondazione Cittalia dell’ANCI, elemento che ha consentito un coinvolgimento attivo degli enti locali in tutto il territorio nazionale. Complessivamente, infatti, metà dei Comuni italiani ha risposto al questionario che riguardava presenze, flussi, caratteristiche dei lavoratori agricoli migranti e sistemazioni di alloggio. Per quanto riguarda le principali nazionalità dei migranti impiegati nel settore agro-alimentare, tra i più numerosi Paesi di provenienza troviamo:
- Romania (14,9%)
- Marocco (11,9%)
- India (9,6%),
- Albania (8,1%)
- Senegal (6,1%)
- Pakistan (5,8%)
- Nigeria (5,2%).
La raccolta dei dati ha approfondito anche i servizi a disposizione delle persone presenti sui territori e gli interventi finalizzati all’integrazione.
Insediamenti informali presenti da sempre, senza diritti
In totale 38 Comuni in 11 Regioni italiane hanno segnalato la presenza di 150 insediamenti informali o spontanei non autorizzati dove vivono oltre 10.000 lavoratori e lavoratrici del settore agricolo. Ciò significa che qualche migliaio di persone vive in casolari, palazzi occupati, baracche, tende, roulotte: in alcuni casi in piccolissimi gruppi, in altri in agglomerati che possono “accogliere” anche migliaia di persone, come le tendopoli o le aree definite “ghetti”.
Qui, come si legge nel Rapporto, le condizioni di vita sono precarie: “i servizi essenziali sono del tutto assenti in 32 degli insediamenti mappati, che sono pari al 34% del totale. L’acqua potabile, l’energia elettrica e le strade asfaltate sono i servizi essenziali più frequenti, ma riguardano sempre meno della metà degli insediamenti (43-46%)”.
La fragilità degli insediamenti nasconde la cristallizzazione della loro presenza sui territori. La maggior parte, infatti, risale a molti anni fa: 11 esistono da più di 20 anni, e 23 hanno “compiuto” già sette anni. Sebbene si tratti della prima indagine così approfondita, il Rapporto descrive una situazione fortemente radicata e ormai cronicizzata che favorisce lo sfruttamento di chi abita in queste aree.
Il caporalato, è bene ricordarlo, è una questione non soltanto meridionale e che, al contrario, coinvolge tutta Italia. Tuttavia, il Rapporto individua il Sud come l’area dove i lavoratori migranti occupati nel settore agroalimentare sono più numerosi e anche la zona dove si trovano la maggior parte dei Comuni con insediamenti informali, in particolare Puglia (12 unità), Sicilia (8 unità), Calabria (5 unità) e Campania (3 unità).
È importante sottolineare come il Rapporto non evidenzi una correlazione tra il numero di persone presenti sui territori e quello degli insediamenti informali: ci sono aree dove la gestione dei flussi di lavoratori e lavoratrici stagionali è portata avanti con cura e attenzione, senza sfruttamento o soppressione dei diritti. Ciò che emerge è come forme di caporalato siano più frequenti per chi vive negli insediamenti informali (25,8% dei casi) rispetto a quanto avviene in quelli formali, istituzionalizzati e non.
Che futuro per l’agricoltura che vuol essere eccellenza senza sfruttamento?
Il Rapporto di Ministero del Lavoro e ANCI individua anche alcuni segnali incoraggianti. “Il primo risultato di questa indagine” si legge “è stato infatti quello di aver contribuito a diffondere in maniera capillare la consapevolezza di una problematica diffusa e spesso ignorata o sconosciuta.” Altrettanto rilevante è il fatto che, sulla base di quanto emerso dall’indagine, è stato possibile individuare le amministrazioni locali a cui destinare la cifra di 200 milioni di euro del PNRR dedicati alle azioni di superamento dell’emergenza abitativa dei braccianti e delle braccianti.
L’ex Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Andrea Orlando, e il presidente dell’ANCI, Antonio Decaro, scrivono così nella prefazione: “questo Rapporto non è la semplice mappatura di come i migranti vivono e lavorano nei nostri campi, ma restituisce in maniera più ampia il modo in cui sui nostri territori, oggi, riconosciamo o neghiamo dignità a quelle vite e a quel lavoro. Troppo a lungo abbiamo portato il peso di luoghi che negano i nostri principi costituenti e il rispetto dovuto a ogni essere umano. Li abbiamo, etimologicamente, tollerati. Non possiamo e non vogliamo più sostenere quel peso. Riconsegniamo ovunque alle parole ‘casa’ e ‘lavoro’ il senso che dovrebbero avere”.
Per questo, tra gli elementi mappati dal Rapporto anche i progetti pubblici per la realizzazione di alloggi: “Sono 14 i Comuni che hanno dichiarato di aver elaborato almeno uno studio di fattibilità volto alla realizzazione di alloggi destinati ad ospitare lavoratori migranti e 28 quelli che dichiarano di voler elaborare a breve tali progetti di fattibilità. Tra il primo gruppo di Comuni si segnalano Nardo’ e Rosarno che hanno già elaborato 2 distinti progetti, mentre i seguenti 12 Comuni ne hanno elaborato uno: Bellosguardo, Bolzano, Campobello Di Mazara, Farigliano, Genova, Manfredonia, Porto Recanati, Ragusa, San Severo, Senise, Siracusa, Taurianova”.
Il settore agricolo rappresenta un’eccellenza del made in Italy, un traino per l’economia e un laboratorio di innovazione, anche nell’ambito della sostenibilità. Elementi che rendono ancor più urgente un’azione contro il caporalato, secondo Onofrio Rota, segretario generale della Fai-Cgil: “Nonostante il caporalato non rappresenti l’agricoltura italiana, fatta anche da tante imprese sane, buona contrattazione, bilateralità avanzata, buone pratiche, il problema del sommerso e dello sfruttamento dei lavoratori e delle lavoratrici, in particolare migranti, rimane una vergogna, ora certificata anche dal ministero e dall’Associazione dei comuni italiani: è una condizione che deve essere superata al più presto per evitare che altre persone diventino vittime di questa piaga sociale”.
Strumenti come questo nuovo Rapporto congiunto e le sinergie che ha messo in moto a livello nazionale possono contribuire all’obiettivo, rappresentando un passo importante per il riconoscimento dei diritti di tutti i lavoratori e le lavoratrici del settore agricolo.