Dove, quando e com’è nato il vermouth, il vino aromatizzato italiano per eccellenza

 

Vermut, vermouth o ancora vermòt: il nome può forse trarre in inganno, ma nell’articolo di oggi andremo a parlare di un prodotto enologico che in realtà è al 100% italiano.

Siamo in Piemonte e più precisamente nella città di Torino, capoluogo conosciuto e famoso per altre eccellenze enogastronomiche come il bollito misto, gli agnolotti, il bicerin e il bonet… Alla lista aggiungiamo anche questo antico vino aromatizzato, unico nel suo genere: scopriamo quindi dove nasce, come si produce il vermouth e anche come degustarlo.

Dove nasce il vermouth?

È una bevanda alcolica la cui nascita risale addirittura al XVIII secolo e, come anticipato, si ricollega alla città di Torino. Ma facciamo un passo indietro e partiamo dalle origini del nome. Possiamo dire con relativa certezza che il termine vermouth deriva dal tedesco wermut, che tradotto significa “assenzio”. A sua volta, è riconducibile al nome scientifico Artemisia absinthium, pianta erbacea conosciuta anche come Assenzio maggiore o semplicemente Artemisia, uno degli ingredienti fondamentali per la preparazione di questo vino. In Germania già nel XV secolo esistevano dei vini all’assenzio denominati appunto Wermutwine dal sapore altamente amaro e utilizzati soprattutto per usi medicinali.

Per arrivare in Italia e per trovare un prodotto simile che faccia riferimento a qualcosa di ‘nostro’ dobbiamo aspettare il 1773 quando, in Toscana, il medico e botanico Giovanni Cosimo Villifranchi pubblica la sua Oenologia toscana, un testo in cui parla principalmente di enologia e viticoltura in cui viene nominato un vino aromatizzato con erbe e spezie, tra cui l’assenzio, chiamato Wermuth. 

Da qui in poi, la storia del vermouth è caratterizzata da diversi salti spazio-temporali e succede che dalla Toscana ci si ritrovi a Torino, città alla quale vengono dati i natali di questo vino, in cui i liquoristi godevano di grande prestigio. È infatti nel 1786 nella bottega del liquorista Luigi Marendazzo, in Piazza Castello, che il giovane Antonio Benedetto Carpano (allora dipendente) decise di aggiungere erbe e spezie a del vino moscato, creando così la bevanda che tutti noi oggi conosciamo, non più relegata per soli scopi medici. Da quel momento il vermouth diventa l’aperitivo torinese per eccellenza e ogni bar della città comincia a servirlo ai propri clienti accompagnato da qualche cubetto di ghiaccio e una scorza di limone.

Luigi Bertello/shutterstock.com

Declino e rinascita di questo vino pregiato

Nei decenni successivi i produttori di vermouth in città si moltiplicano, incoraggiati soprattutto da una domanda in continua crescita. In quel periodo si fanno notare i fratelli Cora che per primi hanno l’intuizione di esportarlo in Francia e Spagna prima, America latina e Stati Uniti poi, dove diventa uno dei principali protagonisti della cultura della mixology, tant’è che nei manuali americani di fine ‘800 e inizio ‘900 è presente nelle più importanti ricette e cocktail, come il Manhattan e il Martinez. Agli inizi del ventesimo secolo questo vino aromatizzato era considerato uno degli ingredienti fondamentali a disposizione dei barmen statunitensi, presente in quasi tutti i migliori cocktail bar del Nord America.

La ‘moda’ del vermouth comincia a svanire durante gli anni ‘60, quando le abitudini della popolazione, specialmente quella più giovane, iniziano a cambiare, preferendo il consumo di vini più semplici dalle note fruttate e floreali, a discapito delle note leggermente speziate e amaricanti che contraddistinguono questo vino. La maggior parte delle aziende medio-piccole entra così in crisi e chiude, mentre quelle più grandi e famose preferiscono concentrarsi su una produzione enologica differente, che assicuri vendite maggiori.

 

Negli ultimi anni, però, c’è stata una riscoperta dei cocktail “storici”, così come i principali ingredienti che li compongono, riaccendendo la curiosità nei confronti del vermouth. Fatto che ha portato alla valorizzazione di questo prodotto come conferma l’introduzione, nel 2017, del Disciplinare dell’indicazione geografica del Vermouth di Torino approvato dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, che prevede il solo utilizzo di vino ottenuto da uve coltivate e vinificate in Italia e l’utilizzo di artemisie di origine esclusivamente piemontese.

A conferma di ciò, anche la nascita, nel 2019, del Consorzio del Vermouth di Torino che ad oggi conta 23 soci e il cui scopo principale è ‘la tutela, la promozione, la valorizzazione, la vigilanza e la cura generale degli interessi della Indicazione Geografica Vermouth di Torino’.

Cos’è il vermouth?

Ma esattamente che cos’è il vermouth? Dal punto di vista legislativo, è un vino aromatizzato con erbe e spezie regolamentato dal Reg. UE 251/2014 che definisce i vini aromatizzati come “bevande ottenute da uno o più prodotti vitivinicoli che devono rappresentare almeno il 75% del volume totale, con eventuale aggiunta di alcol, eventuale aggiunta di coloranti, eventuale aggiunta di edulcoranti, con un titolo alcolometrico volumico totale non inferiore al 17,5% vol”.

Luigi Bertello/shutterstock.com

Come detto, si parla di un vino aromatizzato che non è da confondere con i vini liquorosi (o fortificati). Questi ultimi vengono prodotti a partire da un mosto in fermentazione o da un vino base, il cui titolo alcolometrico non deve essere inferiore al 12%. La “fortifica”, ovvero l’aumento della gradazione alcolica, avviene tramite aggiunta di alcol etilico, acquavite di vino o mistella, che altro non è che un mosto reso infermentescibile tramite addizione di alcol. Il titolo alcolometrico finale deve essere compreso tra i 15-22% vol e la concentrazione di zuccheri non deve essere inferiore ai 50 g/L, mentre per i vini liquorosi secchi può essere al massimo di 40 g/L.

Come si produce il vermouth e quali sono le tipologie?

Il vermouth quindi si produce a partire da una base di vino bianco o rosso (solitamente moscato o cortese). Le erbe aromatiche, le spezie e le radici selezionate per la preparazione vengono poste in infusione (in un’unica vasca o in vasche separate) in una soluzione idroalcolica per estrarne gli aromi per un periodo variabile: si può andare dalla ventina di giorni fino a qualche mese, in base al tipo di spezia e all’intensità finale che si vuole ottenere. Gli estratti aromatici ottenuti vengono poi miscelati con il vino e con lo zucchero e lasciati a maturare in cisterne di affinamento, a cui segue infine il filtraggio e l’imbottigliamento della bevanda.

Luigi Bertello/shutterstock.com

Possiamo distinguere diverse tipologie di vermouth, a seconda di alcune caratteristiche date da due fattori, che sono:

  1. il colore: possiamo trovare il vermouth bianco, generalmente dal sapore dolce e con note agrumate e vanigliate; il vermouth rosso, la cui colorazione è data dall’aggiunta di caramello o zucchero bruciato; e infine il vermouth rosato che deve il proprio colore, a differenza del precedente, dalla mescolanza di vini bianchi e rossi.
  2. La quantità di zucchero presente all’interno. Qui si andrà a identificare il vermouth extra dry quando la quantità di zucchero è inferiore ai 30 g/L, vermouth dry quando la quantità di zucchero è inferiore ai 50 g/L, e infine il vermouth dolce quando la quantità di zucchero è pari o superiore ai 130 g/L. Per la dolcificazione è consentito l’utilizzo, oltre che dello zucchero, di mosto d’uva, zucchero caramellato o miele.

Esistono anche altre tipologie di vermouth meno conosciute, come ad esempio quelli amari in cui è prevalente l’aroma della china, e altri aromatizzati con arancia, vaniglia, cacao e così via.

Quali erbe vengono utilizzate per la preparazione del vermouth? 

A livello nazionale la regione che si contraddistingue per la coltivazione di piante officinali è, non a caso, proprio il Piemonte. Le più utilizzate per il vermouth sono:

  • Artemisia (o meglio “artemisie”, al plurale). Ne esistono diverse varietà e per la produzione del vermouth se ne contano tre: Artemisia absinthium (la più utilizzata e dalla quale deriva il nome), Artemisia pontica e Artemisia valesiaca
  • Timo. Se ne utilizzano due specie, il Thymus vulgaris caratterizzato da un sapore aromatico e pungente e il Thymus serpillum che presenta note cedrate.
  • Origano. Presente in tutta la penisola, viene utilizzato per conferire al prodotto finale un tocco aromatico molto piacevole sia a livello gustativo che olfattivo.
  • Coriandolo. Pianta spontanea il cui nome deriva dal greco koris, che significa cimice, poiché l’odore della pianta fresca e dei suoi frutti ricordano talvolta quello del noto insetto. Una volta essiccati, acquisiscono un aroma speziato e aromatico.
  • Melissa. Pianta erbacea perenne conosciuta anche come erba limoncina per via dell’aroma che ricorda quello del noto agrume.
  • Sambuco. Arbusto diffusissimo nei boschi italiani formati da numerosi fiorellini bianchi, caratterizzato da un odore molto intenso che con l’essiccamento diventa dolce.
  • Ginepro. Conosciuto principalmente per la produzione di gin, viene utilizzato anche per la preparazione di vermouth e liquori. In Italia si usa quello delle nostre Alpi, considerato come uno dei migliori in assoluto ed esportato in tutto il mondo.
vo_studio/shutterstock.com

I frutti vengono raccolti dopo due anni di maturazione portando con sé il caratteristico sapore dolciastro in un primo momento, seguito poi da note più amaricanti.

Dal continente asiatico troviamo:

  • Cardamomo. Pianta spontanea presente nell’Asia tropicale, vengono utilizzati i semi ancora racchiusi nel frutto che conferiscono un sapore piccante-aromatico.
  • Rabarbaro. Viene utilizzata la varietà cinese, il Rheum palmatum da cui deriva il caratteristico sapore amarotico.

Dal continente sudamericano troviamo infine la china, che si ricava dalla corteccia di alcuni alberi della famiglia della Cinchona: il suo utilizzo è diventato sempre più apprezzato dando origine anche a numerosi liquori e vini aromatizzati, come il Barolo chinato.

Come degustare il vermouth

In origine nel capoluogo piemontese questo prodotto veniva servito liscio, con qualche cubetto di ghiaccio e una scorza di limone. E ancora oggi si consiglia di degustarlo come vuole la tradizione, in orario di aperitivo oppure dopo i pasti.

Negli anni successivi, sia grazie alla creazione di nuovi prodotti come distillati, liquori e bitter, sia grazie all’espansione della cultura della mixology il vermouth è diventato il principale ingrediente della maggior parte dei drink tuttora conosciuti a livello mondiale, alcuni dei quali fanno parte della lista ufficiale IBA, ovvero l’Associazione Internazionale Bartenders.

Maksym Fesenko/shutterstock.com

Ma quali sono i cocktail in cui troviamo questo particolare prodotto? Eccone alcuni:

  • Americano: prodotto con vermouth rosso, bitter e seltz e servito on the rocks con scorza di limone e fetta d’arancia come decorazione. Viene consumato principalmente come aperitivo.
  • Negroni: prodotto con vermouth rosso, bitter e gin. Servito on the rocks con una fetta d’arancia, deve il suo nome al conte Camillo Negroni il quale un giorno, mentre sedeva al bar che era solito frequentare, chiese al barman di rafforzare il suo Americano e la scelta cadde sul gin.
  • Manhattan: a base di vermouth rosso, rye o bourbon whiskey, angostura. Gli ingredienti vengono fatti raffreddare in un mixing glass e serviti in una coppetta da cocktail con una ciliegina come decorazione. Il nome di questo cocktail deriva dal Manhattan Club di New York in cui venne preparato per la prima volta nel 1874.
  • Boulevardier: con vermouth rosso, rye o bourbon whiskey e bitter. Gli ingredienti vengono fatti raffreddare in un mixing glass e serviti in una coppetta da cocktail con una scorza d’arancia. Fu ideato dal barman Harry MacElhone nel suo Harry’s New York Bar di Parigi nel 1927 e lo dedicò a Erskine Gwynne, uno dei suoi clienti più affezionati che in quegli anni era il redattore della rivista Boulevardier da cui prende il nome.

Conoscevate la storia del vermouth e la sua produzione? Hai mai bevuto uno dei cocktail a base di vermouth?

Fonti

vermouthditorino.org
Il grande libro del vermouth e dei liquori italiani di Giustino Ballato, EDT, 2018

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