Declino e rinascita della carruba a Cipro, l’oro nero dell’isola

 

Sapevate che uno dei prodotti più importanti di Cipro è la carruba, tant’è che viene anche chiamata “l’oro nero dell’isola”? Si tratta di una coltivazione molto antica, esportata e divenuta famosa in tutto il mondo per la sua qualità e che per anni ha costituito una delle principali fonti economiche dell’isola. In particolare, per chi viveva in campagna ha rappresentato la possibilità di far studiare ed emigrare i propri figli.

Negli anni Sessanta, però, questa produzione è entrata sempre di più in crisi, sia a causa dello spopolamento delle campagne, sia della siccità che ha colpito Cipro. Ma questo non ha impedito che la carruba continuasse ad avere un’importanza speciale per i ciprioti, che in tutti i modi stanno cercando di mantenerla in vita. Dunque, andiamo oggi alla scoperta di questo frutto e di come compare nella cucina cipriota!

Storia e origini della coltivazione del carrubo a Cipro

A Cipro il carrubo si coltiva fin da tempi molto antichi. Dalle testimonianze, emerge che già a partire dal I secolo d.C., quindi circa dall’era medievale fino alla fine del mandato britannico, fosse una delle principali coltivazioni dell’isola.

La maggior parte della produzione, come anticipato, veniva esportata ovunque, costituendo così un’importante fonte redditizia. In passato le piantagioni di carrube si trovavano in tutta Cipro, ma il centro nevralgico divenne la regione di Kyrenia, a nord, dove si raccoglieva oltre un quarto dei baccelli di carrubi dell’isola. Infatti, se oggi il porto vecchio della città è stato occupato da ristoranti e caffè, un tempo non era affatto così: gli splendidi edifici in pietra affacciati sul lungomare erano utilizzati come magazzini per le carrube, dove venivano imballate in sacchi di iuta e spedite in tutta Europa.

Foto di Giulia Ubaldi

Così la carruba, vista la sua abbondanza, assunse ben presto il nome di “oro nero dell’isola” in quanto primo prodotto cipriota esportato nel mondo, seguito poi dalle altre specialità locali, quali agrumi, patate, uva, olio d’oliva e cotone.

Le cose cambiarono ed entrarono in crisi tra gli anni Cinquanta e Sessanta, principalmente per tre motivi:

  • il generale abbandono delle campagne e del lavoro in ambito agricolo che colpì molti paesi del Mediterraneo;
  • la crescente emigrazione dall’isola per mancanza di lavoro;
  • un clima sempre più secco, caratterizzato da molta siccità, piogge scarse e conseguente terra sempre più arida.

Si stima che dopo il 1968 la produzione di carrube subì un calo di circa 50.000 tonnellate. Ma oggi sembra che le cose stiano iniziando a cambiare: nonostante il crollo pressoché totale del commercio internazionale di carruba, c’è chi ancora continua a coltivare questa pianta. Quasi 6.000 alberi di carrubo sono stati piantati negli ultimi anni, cercando di far rivivere la tradizione dell’oro nero dell’isola. Costantino Christophides, professore all’Università di Cipro a capo di un progetto mirato alla riqualificazione del carrubo, ha dichiarato che “a breve pianteremo ancora 40.000 carrubi che nel giro di tre o quattro anni produrranno 10.000 tonnellate all’anno di carruba”.

Foto di Giulia Ubaldi

La carruba di Cipro: coltivazione e caratteristiche di questo frutto

La carruba è il frutto della pianta di carrubo. Si tratta di un albero sempreverde della famiglia delle leguminose, che può raggiungere i dieci metri di altezza, con un’ampia chioma ad arcate fitte, coltivato principalmente per i suoi baccelli, ovvero le carrube. Sebbene originario della regione mediterranea e del Medio Oriente, si può trovare anche in Nord America.

La sua fioritura avviene da luglio a ottobre, con un picco a settembre, quando infatti avviene la raccolta. A proposito di questo frutto, c’è un aneddoto interessante: il carato – l’unità di misura per le dimensioni di diamanti e altre pietre preziose – si basa sul peso di un fagiolo di carruba, che è praticamente sempre uguale da baccello a baccello e da albero a albero. Ci sono registrazioni di semi di carruba usati per pesare le gemme già nel periodo romano e si pensava che la parola “carato” derivasse effettivamente da questi baccelli.

Foto di Giulia Ubaldi

Inoltre, gli alberi di carruba crescono bene quasi ovunque, sia su terreni più asciutti e sassosi che su quelli a 600 metri sul livello del mare. Infatti, i carrubi non conoscono “conflitti” a Cipro! Vengono coltivati sia a nord, nella parte turca intorno alla città di Kyrenia e in quella meravigliosa lingua di terra di sabbia che è la penisola di Karpaz, sia a sud, nella parte greca, tra Anogyra, dove si trova il Museo della Carruba e Tylliria, da cui il nome della principale varietà di carruba presente a Cipro. Ma attenzione, perché non è l’unica varietà: le carrube non sono tutte uguali, soprattutto a Cipro!

Le tre varietà di carrube di Cipro

A Cipro sono state individuate ben tre varietà differenti di carruba. Tra queste non ci sono grandissime differenze, se non la zona di produzione e la morfologia del baccello. 

  1. Tylliria: è la principale tipologia, che costituisce la stragrande maggioranza della produzione di carrube a Cipro, tant’è che ha dato anche il nome a come viene chiamato localmente questo frutto. Inoltre, Tylliria corrisponde anche alla zona di produzione, che si trova a sud ovest, nella parte greca. La sua diffusione capillare è dovuta alle sue caratteristiche: è molto più vigorosa e resistente delle altre; infatti i germogli di Tylliria tendono a mantenere una posizione sempre eretta, in quasi tutte le fasi di maturazione. Un’altra differenza sta proprio nel colore di questi germogli che sono più sul verde pallido o porpora pallido rossastro. La superficie dei semi di Tylliria, invece, è generalmente liscia e la loro estremità micropilare leggermente appuntita.
  2. Koundourka: meno diffusa e più delicata; i germogli di Koundourka, soprattutto quelli più vecchi, tendono a piegarsi verso il basso: infatti gli alberi di questa varietà assumono spesso un portamento “piangente”. Sono di colore rosso porpora molto acceso e i semi hanno una superficie irregolarmente angolare e sono poco appuntiti e più spessi.
  3. Koumbota: si sa molto poco di questa varietà, perché ormai è quasi in estinzione. Viene coltivata ancora solo nella penisola a nord-est di Karpaz, in particolare intorno a Koma tou Yialou.

Ma ora vediamo come si può utilizzare questo frutto in cucina!

La carruba nella cucina cipriota

Sapevate che la carruba è un ottimo sostituto del cacao? Il baccello maturo, essiccato e talvolta tostato, viene spesso macinato in polvere, a volte utilizzata per sostituire il cacao. Ma a differenza di quest’ultimo, ha proprietà altamente nutrienti e anche benefiche per la digestione, di cui vi avevamo già parlato a proposito dei benefici delle carrube. Inoltre, è molto ricco di vitamine A, B, B2, B3 e D, per questo sono molto diffuse le barrette di carruba, ottime alternative alle quelle di cioccolato. Ibaccelli di carruba però sono naturalmente dolci e per niente amari, per questo si possono gustare anche così, da soli, appena raccolti dall’albero!

Foto di Giulia Ubaldi

Ma come viene utilizzato il prezioso “oro nero” nella cucina cipriota? Principalmente in tre modi, e il primo è sicuramente il succo di carruba, che si trova in vari bar per tutta l’isola e all’angolo di ogni via, molto dolce ed energetico. Il secondo è il pekmez, un condimento simile alla melassa che si prepara ancora soprattutto nella parte nord dell’isola, facendo bollire le carrube. Ma altro non sappiamo, pare sia una ricetta segreta, a cui i ciprioti tengono particolarmente. Infine, non possiamo non parlare del pasteli di carrube, un dolce cipriota composto da una pasta caramellata ricavata dal succo di carrube, che si produce solo a Anogyra, a sud, dove ogni settembre si celebra la Festa del pasteli. Se prima si trovava più frequentemente anche nel resto dell’isola, oggi si prepara solo qui secondo il metodo tradizionale che prevede un processo molto lungo. Per prima cosa, si selezionano solo i baccelli più grandi e quindi con maggiore contenuto di zucchero, poi questi vengono lavati, seccati a tritati. In seguito la polvere grossolana che si ottiene da questa operazione viene messa in ammollo in acqua all’interno di grossi contenitori per circa 20 ore, da cui si estrae un succo da cuocere sul fuoco in pentole di rame per 6-7 ore, finché non diventa sufficientemente denso. A questa fase segue un’ulteriore cottura, che rende il pasteli una massa dura da appendere poi su dei paletti al muro e infine posta in contenitori di legno. In passato c’era proprio un mestiere legato a questa lunga e complessa produzione che è quello dei pastellades, ovvero coloro che lo facevano, tagliavano e vendevano il pasteli, mentre oggi si trova già pronto e confezionato nei negozi.

Allora, vi abbiamo fatto venire voglia di carruba?

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