Cos’hanno in comune la linea di prodotti Coop, Conad, Pam, Esselunga e Carrefour? All’apparenza nulla: sono diversi i marchi, i colori e i prezzi, eppure qualcosa che li avvicina c’è. Si chiama private label alimentare e identifica la pratica di vendere, con il nome del supermercato stesso o con un nome di fantasia inventato dal punto vendita, alcune referenze alimentari. Percepiti fino a poco tempo fa come sottomarche qualitativamente meno valide di quelle delle più note industrie produttrici, oggi i marchi del distributore hanno conquistato una fetta rilevante del mercato, diventando un punto di riferimento per molti consumatori che non solo li acquistano, ma li preferiscono a quelli “originali”. Sì, originali, perché come ormai è risaputo, spesso sono gli stessi brand famosi a produrre quello che poi viene etichettato con l’insegna del venditore, organizzandolo in diverse linee: Base, Premium e Bio. Una gamma di alimenti sempre più ampia e variegata che fa diretta concorrenza agli altri articoli perché di prezzo inferiore e favorita da politiche di sconti o accumulo punti di cui gli altri prodotti non possono sempre avvalersi. Ma quanto è conveniente acquistare questi prodotti invece di quelli “griffati”? E come fare per sapere chi produce realmente la merce a scaffale?
Il private label alimentare conviene davvero? Qualità, prezzo e altri fattori a confronto
Secondo il Rapporto Marca del 2019 realizzato da BolognaFiere e curato da Iri e Nomisma, il settore della Marca del distributore (MDD) sta continuando un percorso di sviluppo intrapreso ormai da anni e, con un aumento del 2,5% solo nell’ultimo periodo, avrebbe raggiunto quasi il 20% della quota di mercato e oltre 10 miliardi di euro di venduto. Valori significativi, soprattutto se si considera che il contributo della MDD alla crescita dell’industria alimentare è pari al 30% (dati tratti dal documento The European House Ambrosetti per Adm – Associazione Distribuzione Moderna): per quanto ancora lontani da quelli di altri paesi dell’Unione (Spagna, Svizzera e Regno Unito sono su quote di mercato del 50% o più, la Germania vanta il 47% seguita dal Belgio al 44%) questi numeri confermano infatti la fiducia e l’importanza che questo segmento sta guadagnando per tutti gli estremi della filiera: le aziende produttrici (o “copacker”), la GDO e il consumatore finale. Vediamo, allora, quali sono i reali vantaggi per quest’ultimo e per gli altri attori.
Qualità e varietà degli alimenti private label
Il primo criterio per valutare la convenienza dei prodotti a marchio è senza dubbio la qualità: come facciamo a sapere se ciò che compriamo è di prima scelta e non merce di serie B? Teoricamente, se tra il prodotto originale e quello a marchio del distributore non è presente alcuna differenza ad eccezione del brand, allora il tutto si riduce a una semplice questione di packaging, senza nessuna variazione di contenuto. Non solo, oltre ai normali standard di qualità e igiene imposti alle aziende che vogliono vendere al pubblico, quando si tratta di MDD bisogna aggiungere anche i controlli specifici a cui la GDO sottopone i suoi prodotti, un po’ come già visto nel caso del cibo sprecato perché brutto. Stando alla ricerca Nomisma sopracitata, in questo contesto si tratterebbe però di un fattore positivo capace di spingere fino all’80% delle aziende produttrici a dotarsi di certificazioni ulteriori rispetto a quelle previste per legge, perché fonte di garanzia per il consumatore finale.
Secondo questi principi, quindi, a livello qualitativo c’è poco da temere. A riprova di ciò, l’Associazione delle Aziende di Private Label (PLMA) che conta 4.500 distributori nel mondo, ha istituito il Salute to Excellence Awards, riconoscimento annuale con cui vengono insigniti i migliori prodotti food and beverage a marchio del distributore in Europa. Tra i paesi più premiati nel 2019 spiccano in particolare Germania, Irlanda, Spagna e Francia, ma anche l’Italia si è aggiudicata il primo posto in alcune categorie, come i panificati con la Piada Romagnola IGP alla Riminese Re di Sapori di Migross, la biscotteria grazie ai Frollini con Semi di Chia e Semi di Lino della linea Bene.sì di Coop Italia e, per i vini, nella sezione Chianti con il Fior Fiore Chianti Classico DOCG Rocca delle Macìe 2016 sempre Coop Italia. Uno dei criteri di valutazione di questa particolare premiazione è la varietà della proposta commerciale, che si distingue da quanto già presente sul mercato incontrando le necessità del cliente finale. In generale, dal Rapporto Marca emerge infatti che proprio i MDD sono responsabili dell’ampliamento dell’offerta in termini di assortimento e referenze a scaffale, con il risultato che, da un lato, sempre più acquirenti trovano risposta ai loro gusti e preferenze; mentre dall’altro, la spinta della GDO in questa direzione porta a un costante aggiornamento delle modalità produttive e del catalogo prodotti anche per i copackers.
Prodotti a marchio del distributore: il portafoglio ringrazia
Va bene la qualità, ma il prezzo? Queste le parole dell’Associazione Distribuzione Moderna: “La Marca del Distributore nasce come alternativa a basso costo dei brand più noti: si tratta di un’offerta creata appositamente dall’insegna distributiva per offrire ai consumatori prodotti che abbiano caratteristiche simili a quelle dei marchi famosi, ma un prezzo decisamente più contenuto, reso possibile dalla estrema razionalizzazione della filiera di produzione e dalla mancanza di spese di marketing e comunicazione.” Dunque è vero, e non è difficile accorgersene, che quelli vestiti con l’etichetta del distributore sono prodotti che costano sensibilmente meno: secondo il portale Io leggo l’etichetta, il risparmio si aggirerebbe intorno ai 1.400 euro all’anno sul carrello della spesa. Il sito riporta anche un’utile banca dati con i brand della GDO che sono stati realizzati da importanti aziende che i consumatori possono contribuire a integrare questa specie di wikipedia degli alimenti condividendo le loro scoperte, nel perfetto spirito dell’Enciclopedia Libera. Qualche esempio?
- Gran parte dei biscotti Coop sono prodotti da Galbusera o da Vicenzi, il riso in gran parte da Scotti o Alce Nero per la linea Vivi Verde e la pasta dal pastificio Rummo, che rientra anche nella lista della pasta 100% italiana;
- Per Conad ai surgelati pensa Orogel, mentre la Bauli è l’autrice delle merendine;
- Dietro Carrefour c’è la mano di Monini per l’olio extravergine, Beretta per i wurstel e Vergnano per il caffè .
È evidente come, di fronte a una medesima affermazione di qualità, il prodotto firmato dal punto vendita risulta decisamente più conveniente anche per il portafoglio. E il consumatore non è l’unico a trarre vantaggio da questo sistema.
Private label, i benefici per la filiera
In parte lo abbiamo già accennato: tra i fattori positivi del private label alimentare rientra sicuramente lo stimolo all’innovazione che porta non solo alla replica di prodotti già esistenti, ma anche e soprattutto all’introduzione di referenze inedite. Il motivo è presto detto: la GDO è un collettore di dati di prima mano che può quindi tradurre in abitudini di consumo e, di conseguenza, in proposte per il mercato che, viceversa, le aziende impiegherebbero molto più tempo a formulare. Tra le novità merito della GDO ci sono, ad esempio, l’ingresso di frutta e verdura di IV gamma e dei prodotti biologici, in forte anticipo rispetto alle aziende, con una quota di mercato per questi ultimi pari al 41% dell’intero settore bio. Non solo prodotti confezionati, però, ma anche freschi e freschissimi, con generi alimentari sempre più aggiornati e rispondenti alle tendenze del consumatore.
Non bisogna trascurare poi il fattore economico per i copackers che, in questo modo, sfruttano la capacità produttiva non utilizzata, cioè i prodotti in eccesso che non riuscirebbero a vendere con il proprio brand, risparmiando anche sui costi di confezione e pubblicità. A questo, si devono aggiungere altri tre benefici emersi dal Rapporto TEHA, ovvero:
- Il sostegno a una filiera di fornitura composta principalmente da piccole e medie imprese che difficilmente avrebbero accesso a determinati canali di vendita e che stabiliscono rapporti duraturi con la GDO. Nel 91,5% dei casi si tratta inoltre di aziende italiane;
- Oltre ai vantaggi per l’economia dei consumi, la Marca del Distributore contribuisce anche all’economia del lavoro, creando occupazione diretta e indiretta (+7% di posti di lavoro nel triennio 2012-2015);
- I prodotti in private label alimentare concorrono al mantenimento di elevati standard di qualità, soprattutto quando rientrano nelle linee Premium e Bio, che necessitano di certificazioni particolari a garanzia della loro veridicità. E che spesso, aggiungiamo noi, anche se più costosi degli analoghi Base, possono aiutare a mantenere uno stile di vita sano a prezzi contenuti.
Scartata dunque l’idea che si tratti di merce di seconda scelta, rimane comunque un quesito: come facciamo a capire chi ha prodotto cosa? E siamo sicuri che sia identico a quello del brand?
Come fare per riconoscere il brand dietro ai prodotti in private label
Per conoscere chi produce realmente gli alimenti che acquistate sotto il marchio del distributore, non resta che metterli a confronto con quelli “vip”. Si parla, in questo caso, di comparazione a tre fattori in cui le informazioni da prendere in esame sono: gli ingredienti, i valori nutrizionali e la sede dello stabilimento di produzione. Dato, quest’ultimo, reintrodotto nel 2018 a seguito di una breve rimozione, quale ulteriore garanzia di informazione e trasparenza per i consumatori. Le etichette, quindi, sono le nostre cartine tornasole nella ricerca del brand che si nasconde dietro ai MDD: stesso stabilimento significa il più delle volte stessa fabbrica, anche se la ricetta può variare tra prodotto e prodotto.
In generale, infatti, anche a parità di ingredienti, la sicurezza che i due articoli siano uguali non è possibile averla poiché la stessa azienda può utilizzare gli stessi ingredienti, ma di qualità differente: tutto dipende dal tipo di contratto che la Grande Distribuzione stipula con il produttore. In questo senso, solo il gusto personale può aiutare a decifrare le varianti.
Eppure, nonostante i numerosi aspetti positivi visti sin qui, non è tutto oro quello che luccica o, almeno, questo è quello che qualche anno fa è stato insinuato a proposito di uno dei player più importanti di questo settore.
E voi, eravate a conoscenza del fenomeno del private label alimentare? E quanto incide sulla vostra spesa? Fatecelo sapere nei commenti!