I marchi DOP e IGP aiutano produttori e consumatori a orientarsi nel mercato e a individuare i prodotti che fanno parte della tradizione gastronomica europea. Coniugano, di fatto, territorio e qualità perché ciascun prodotto che ottiene questo riconoscimento è legato a una determinata area geografica e segue un disciplinare condiviso. Questo sistema di regolamentazione è voluto dall’Unione Europea per tutelare eccellenze e zone di produzione, e oggi è forte la volontà di esportare questo prezioso meccanismo. Ne abbiamo parlato con l’Avvocato Bernardo Calabrese, esperto della materia e docente per il corso di Alta Formazione in Diritto Agroalimentare della Fondazione Forense Bolognese, di cui Il Giornale del Cibo è partner.
Marchi di qualità europei: DOP e IGP a tutela dei territori
La regolamentazione dell’indicazione di origine dei prodotti agroalimentari in Europa ha radici in una prima legiferazione del Consiglio Europeo del 1992. Nel corso degli anni sono stati operati degli aggiornamenti della norma, e oggi il riferimento è il Regolamento 1151 del 2012. In esso, vengono definiti tutti i dettagli che permettono di stabilire quando un prodotto può richiedere il marchio DOP, ovvero Denominazione di Origine Protetta, oppure IGP, Indicazione Geografica Protetta. Quando parliamo di prodotti DOP o IGP, dunque, facciamo riferimento a qualcosa che viene realizzato in un’area specifica dell’Unione Europea e a cui sono stati riconosciuti determinati diritti esclusivi secondo la normativa di riferimento.
“La particolarità di questi segni distintivi” ci spiega l’Avvocato Calabrese, “sta nel fatto che non identificano il produttore né un’associazione, ma il prodotto tipico in quanto tale, tanto che potenzialmente tutti i produttori della zona territoriale vocata possono accedervi, purché vengano dal territorio indicato e seguano il disciplinare di qualità.”
La finalità è quindi garantire che tutto ciò che è contrassegnato come DOP o IGP provenga da quel preciso territorio e rispetti interamente il disciplinare. Come ci spiega l’Avvocato, è un sistema che ha una valenza funzionale e oggettiva: non c’è discrezionalità da parte delle singole aziende nell’attenersi alle prescrizioni qualitative poste alla base della tutela del prodotto tipico. Il consumatore che, ovunque in Europa, riconosca questo bollino sa che caratteristiche ha quel prodotto.
Non soltanto. In virtù di alcuni obblighi internazionali, l’UE tutela anche i prodotti tipici legati a un’indicazione geografica provenienti dall’estero. È il caso, ad esempio, della tequila. Sul mercato europeo, infatti, soltanto i distillati prodotti seguendo le specifiche regole nelle relative zone del Messico possono essere commercializzati con questo nome.
La tutela europea rende i prodotti sempre riconoscibili
Il sistema europeo nasce dall’esigenza di tutelare eccellenze europee da pratiche sleali come, ad esempio, l’italian sounding. Ed è, quindi, rilevante che sia proprio il legislatore dell’UE a farsi carico di stabilire regole uguali per tutti i Paesi membri.
“La competenza europea” ci spiega l’Avvocato Calabrese ,“consente al consumatore e al produttore di accedere a uno strumento unico, uniforme e valido per tutti e ovunque in Europa. Il bollino DOP e IGP è sempre uguale, cambia la lingua, ma è progettato per essere riconoscibile.” Chi acquista un prodotto tutelato, quindi, sa che risponde a un determinato regime giuridico che ne garantisce qualità e territorio.
In secondo luogo, l’intervistato sottolinea che la scelta europea è votata all’uniformità, per cui l’UE ha previsto una competenza esaustiva tale per cui è tecnicamente impossibile per i singoli Stati membri prevedere dei regimi speciali paralleli a livello nazionale, al netto del recente riconoscimento dei marchi privati di certificazione geografica. Ciò è frutto della volontà di raggiungere in maniera più efficace uno degli obiettivi dell’Unione, ovvero un mercato unico per tutti i Paesi con un’omogeneità nelle condizioni di commercializzazione di un prodotto, anche dal punto di vista giuridico. “Su questo piano” specifica l’Avvocato, “di fatto non c’è alternativa. Se un prodotto locale vuole essere tutelato come DOP o IGP c’è solo la via europea.”
Si tratta di un sistema rigido che, però, presenta anche dei vantaggi. “Prevede l’acquisizione di un diritto di proprietà industriale esclusivo all’uso del nome del prodotto tipico. Protegge anche dall’uso di nomenclature meramente evocative, come quelle che ricordano il suono dell’originale. L’esempio più noto è quello del ‘parmesan’, storicamente utilizzato negli Stati Uniti dove il sistema DOP-IGP non è in vigore, ma che non si può impiegare nel resto d’Europa.”
Terzo elemento che valorizza il ruolo dell’Unione Europea in questo campo è il fatto che, come anticipato, bollini e definizioni di DOP e IGP non vengono decisi dai produttori, ma sono obbligatori. “Il Regolamento europeo stabilisce i requisiti formali e le traduzioni ufficiali di ciò che in Italia chiamiamo Denominazione di Origine Protetta e Indicazione di Origine Protetta. In questo modo, anche non conoscendo la lingua, il consumatore sa riconoscere ciò che è tutelato dal tipo di bollino apposto sul prodotto”.
Verso una diffusione internazionale del sistema dei marchi europei di qualità
Il sistema europeo di tutela delle indicazioni geografiche è un unicum a livello mondiale perché è il solo a fornire diritti esclusivi ai produttori secondo criteri così specifici. “Questa scelta del legislatore europeo” spiega l’Avvocato Calabrese, “configura il regime più avanzato e tutelante, e l’UE se ne fa promotrice anche nell’arena internazionale. In sede di negoziati e di accordi transnazionali, sta cercando di farlo accettare anche a Stati che storicamente sono meno attenti alla protezione di queste specificità.”
A livello internazionale, dunque, la regolamentazione di DOP e IGP significa che i produttori di eccellenze – molti dei quali si trovano in Italia – sanno di avere una tutela forte che permette di posizionarsi sul mercato europeo affermando la propria specificità e qualità. Il problema, come evidenzia l’intervistato, emerge fuori dall’Europa dove l’UE non ha il potere legislativo per normarle e regolare i mercati, che fuoriescono dalla propria giurisdizione. “In questo senso è molto importante riconoscere il fatto che l’Unione Europea ha in cima all’agenda politica il riconoscimento della tutela delle indicazioni geografiche quando negozia accordi commerciali con Paesi terzi, dagli Stati Uniti al Giappone.” Il percorso per l’allargamento del sistema è lungo poiché richiede un cambiamento anche culturale, ma la strategia europea è chiara.
In conclusione, l’Avvocato Calabrese evidenzia come si tratti di un sistema con pregi e difetti, questi ultimi derivanti dalla natura di compromesso delle regolamentazioni che devono tener conto delle differenti visioni all’interno dell’UE stessa. “Resta però uno strumento molto importante perché lega un prodotto al territorio. In un contesto nel quale i mercati sono fortemente globalizzati, l’Unione Europea fornisce un incentivo a restare nel luogo dove quella produzione ha origine e non a delocalizzare le filiere in Paesi terzi. È interessante che sia un diritto di proprietà industriale a prevedere di fatto un obbligo a non spostarsi per chi vuole continuare a produrre ciò che è tutelato in via esclusiva, e non si tratta di un elemento da dare per scontato.”
Questa la strada tracciata dall’Unione Europea che, dunque, mette in cima alle sue priorità la tutela dei prodotti tipici, di chi li produce e dei consumatori.