Quella causata dalla pandemia da Covid-19 è una crisi sanitaria, ma sempre di più anche economica e sociale. Secondo le stime delle Nazioni Unite, nel 2020 circa 71 milioni di persone in più rispetto al 2019 si sono trovate in condizioni di povertà assoluta e il numero continuerà a crescere anche nel 2021, mettendo anche a rischio il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030.
Una questione globale che tocca le persone più fragili anche in Italia, dove associazioni come Terre des Hommes con l’iniziativa “Una spesa per i bambini” a Milano o Cucine Solidali a Torino si sono attivate per fornire pasti e alimenti a chi ne ha più bisogno, affiancandosi alle realtà che, da sempre, si occupano di sostegno alla povertà, come la Fondazione del Banco Alimentare o la Caritas. È aumentato infatti, in questi mesi, anche il numero di persone che si rivolge alle strutture di ristorazione solidale in tutte le Regioni italiane. Per approfondire la situazione abbiamo voluto intervistare don Francesco Soddu, Direttore di Caritas Italia.
Povertà alimentare in Italia: intervista al Direttore di Caritas Italia, don Francesco Soddu
La povertà alimentare è ormai da anni una delle aree di azione di Caritas in tutto il territorio nazionale. E nasce dalla consapevolezza che, anche in Italia, è un problema sottilmente diffuso e grave. Per questo, sin da Expo 2015, ha promosso delle iniziative specifiche che si affiancano alla gestione di un ampio network di refettori e mense aperte a chi ne ha più bisogno.
Nell’introduzione ho citato le stime delle Nazioni Unite sulla povertà alimentare su scala globale: si tratta di numeri molto drammatici, condizionati dalla pandemia. Dal vostro punto di vista, essendo attivi sul campo in tutto il territorio italiano, che trend avete osservato nel 2020 e nei primi mesi del 2021?
Don F.S.: “Purtroppo, sulla base dell’ultimo rapporto di attuazione sugli aiuti alimentari distribuiti con il fondo di aiuto agli indigenti (Fead) relativo al periodo 1994-2020, il 2021 è iniziato con circa 4 milioni di italiani che sono stati costretti a chiedere aiuto per mangiare a Natale e a Capodanno, un numero praticamente raddoppiato rispetto allo scorso anno. Si tratta della punta dell’iceberg della situazione di difficoltà in cui si trova sempre più persone costrette a far ricorso alle mense dei poveri e molto più frequentemente ai pacchi alimentari, anche per le limitazioni rese necessarie dalla pandemia.
Lo confermano i dati dei centri di ascolto Caritas, che, confrontando il periodo maggio-settembre del 2019 con lo stesso periodo del 2020, mostrano come da un anno all’altro l’incidenza dei ‘nuovi poveri’ passa dal 31% al 45%: quasi una persona su due che oggi si rivolge alla Caritas lo fa per la prima volta. Tra i nuovi poveri aumenta in particolare il peso delle famiglie con minori, delle donne, dei giovani, degli italiani, che sono attualmente la maggioranza (52% rispetto al 47,9 % dello scorso anno) e delle persone in età lavorativa, di fasce di cittadini finora mai sfiorati dall’indigenza.”
Una crescita delle persone che si rivolgono a servizi di solidarietà in campo alimentare ha richiesto anche un aumento delle vostre iniziative sul territorio dove operate. Ci può raccontare quali sono gli ambiti di azione della Caritas nell’area del sostegno alle persone in difficoltà e, nello specifico, della povertà alimentare?
Don. F.S.: “Merita di essere sottolineato il potenziamento complessivo di tutti i servizi a livello diocesano. In particolare l’incremento di attività della rete degli Empori della solidarietà – sono 106 in tutta Italia quelli gestiti direttamente o co-gestiti dalle Caritas diocesana o enti gestori ad esse collegati, o che rientrano nel coordinamento formale promosso dalle stesse– a favore dell’emergenza alimentare, come pure la nascita o il potenziamento in molte diocesi di ‘fondi’ destinati a venire incontro a chi per la pandemia ha perso il lavoro o non lo può trovare. Anche in questa situazione è stata decisiva la rete degli oltre 3.000 Centri di ascolto delle Caritas diocesane e parrocchiali, che pure nelle limitazioni del confinamento, sono stati segno di una Chiesa attenta e accogliente verso i bisognosi.
Secondo l’ultimo censimento, grazie a questi centri sono messi in atto ogni anno oltre 300.000 interventi di ascolto, orientamento, consulenza e segretariato sociale e vengono erogati oltre 1 milione di beni e servizi materiali (viveri, vestiario, prodotti per l’igiene personale, buoni pasto, ecc.), anche attraverso le 470 mense ecclesiali. A fronte di uno spettro di fenomeni tanto vasto e inedito, le Caritas hanno evidenziato una grande capacità di adattamento, mettendo in atto risposte innovative e diversificate, mai sperimentate in precedenza, ma sempre nel rispetto delle norme anti Covid. Si possono citare ad esempio i servizi di ascolto e di accompagnamento telefonici, o l’ascolto organizzato all’aperto, la consegna di pasti a domicilio e la fornitura di pasti da asporto (in sostituzione o per alleggerire le tradizionali mense), la distribuzione di dispositivi di protezione individuale e igienizzanti, la messa a disposizione di alloggi per i periodi di quarantena e isolamento, i servizi legati all’acquisto e distribuzione di farmaci e prodotti sanitari, i servizi di assistenza psicologica… Una vivacità di iniziative e opere, realizzate anche grazie alla disponibilità di oltre 62 mila volontari, a partire dai giovani del Servizio Civile Universale, che da Nord a Sud del paese si sono spesi a favore dei più vulnerabili. Alcune delle azioni intraprese sono state realizzate anche in forma coordinata e sinergica con altri attori del territorio: amministrazioni locali, parrocchie, associazioni, enti non ecclesiali ed ecclesiali, Protezione civile. Tante anche le iniziative di solidarietà e le donazioni da parte di aziende, enti, negozi, supermercati, famiglie, singoli cittadini.”
Secondo Save the Children, oltre 700.000 bambini e bambine si trovano e troveranno in condizioni di povertà a causa della crisi e, come ha anticipato, tra le persone più colpite dalla pandemia ci sono famiglie con minori, donne e giovani. Dal vostro punto di vista concentrato su tutto il territorio, avete osservato concretamente questi cambiamenti?
Don F.S.: “Solo tra marzo e maggio 2020, in piena emergenza pandemia, le Caritas hanno dato aiuti a 450 mila persone. Accanto ai classici ambiti di bisogno, comunque aggravati dalla pandemia, sono comparsi fenomeni nuovi, ad esempio le difficoltà di alcune famiglie rispetto alla didattica a distanza, a cominciare dall’impossibilità di accedere alla strumentazione adeguata – tablet, pc, connessioni wi-fi. Colpiscono inoltre i numerosi alert delle Caritas inerenti la dimensione psicologica: è stato rilevato un evidente aumento, durante il lockdown, del ‘disagio psicologico-relazionale’, di problemi connessi alla ‘solitudine’ e di forme depressive. I territori hanno sottolineato anche un accentuarsi delle problematiche familiari, ovvero conflitti di coppia, violenze, difficoltà di accudimento di bambini piccoli o di familiari colpiti da disabilità, tensioni tra genitori e figli. Preoccupa, infine, anche il fenomeno della ‘rinuncia o rinvio di cure e assistenza sanitaria’, causato dal blocco dell’assistenza specialistica ordinaria e di prevenzione, che potrebbe determinare in futuro un effetto di onda lunga sul piano del carico assistenziale e del profilo epidemiologico del paese.”
Nel 2020, inoltre, avete realizzato numerosi approfondimenti dedicati all’impatto del Covid-19, tra di essi mi ha colpito la “Mappa emotiva della pandemia” rivolta ai volontari della Caritas. Può raccontarci cosa avete osservato?
Don F.S.: “Volontari e operatori hanno riportato la loro esperienza in Caritas, durante il periodo del primo lockdown, mettendo in luce la sensazione iniziale di inadeguatezza rispetto all’esigenza di soddisfare richieste di aiuto in una situazione totalmente sconosciuta, nonché la difficoltà di doversi adattare ai cambiamenti dei servizi che si sono dovuti modificare per restare fruibili. Tuttavia, dopo una prima fase di incertezza, il cambiamento è stato spesso vissuto come la capacità di rimettersi in gioco e reinventarsi, per scoprire magari nuove modalità efficaci. È accaduto, per esempio, con l’ascolto telefonico, che inizialmente ha destato diffidenza, perché veniva meno l’incontro in presenza, ma è stato poi rivalutato, perché con il telefono talvolta è stato possibile abbattere le barriere della vergogna soprattutto per i nuovi poveri, non abituati a chiedere aiuto. La riscoperta della reciprocità della relazione di aiuto è stato un altro elemento messo in rilievo da operatori e volontari, probabilmente reso più evidente in un periodo in cui le distanze tra beneficiario e operatore si sono accorciate a causa della condivisione dello smarrimento e della paura, davanti all’emergenza sanitaria.”
In conclusione, quali sono a vostro avviso le principali azioni da intraprendere nei prossimi mesi per far fronte a un’emergenza che si fa sempre di più anche economica e sociale, oltre che sanitaria?
Don F.S.: “C’è bisogno, come già evidenziato, dell’aiuto e dell’impegno di tutti. In questi mesi di emergenza sanitaria e sociale abbiamo incontrato una povertà dalle mille sfaccettature con un preoccupante aumento in quest’ultima fase dei problemi legati alla perdita del lavoro e delle fonti di reddito. Abbiamo anche riscontrato una grande condivisione e partecipazione solidale sia con offerte in denaro che con la messa a disposizione del proprio tempo. È necessario ora che ognuno faccia la sua parte e si riesca ad affrontare questa sfida insieme: attori politici, economici, sociali, soggetti del Terzo settore, organizzazioni ecclesiali. Con una prospettiva coesa per guardare al futuro. In particolare ora occorre rafforzare – anche con un corretto e intelligente utilizzo dei fondi europei – le politiche di attivazione e gli strumenti di inclusione socio-lavorativa ponendo le basi per un nuovo mondo del lavoro, fatto di maggiore giustizia sociale e ambientale. In accordo con le realtà diocesane, ad esempio Caritas Italiana sta avviando il ‘Progetto lavoro’, che prevede il sostegno alla nascita e l’accompagnamento di start-up di inclusione lavorativa, gestite soprattutto da giovani.
«Se abbiamo potuto imparare qualcosa in tutto questo tempo – sottolinea Papa Francesco – è che nessuno si salva da solo. Le frontiere cadono, i muri crollano e tutti i discorsi integralisti si dissolvono dinanzi a una presenza quasi impercettibile che manifesta la fragilità di cui siamo fatti». Il cuore di questa dolorosa esperienza deve dunque essere la fraternità e la solidarietà, con grande generosità ognuno deve portare i valori di umanità, di fede e di carità che possiede.
È questo il momento di ‘fare squadra’, partendo dagli ultimi, puntando sulla solidarietà e rilanciando i contenuti della ‘Fratelli tutti’ e del Messaggio per Giornata della pace 2021. Per risolvere, con uno sguardo globale, crisi tra loro fortemente connesse, come quella climatica, alimentare, economica e migratoria, e progettare un futuro libero da tutte ‘le pandemie’.”