Storia e degustazione della burrata pugliese

burrata

“Come si può governare un paese che ha 246 varietà differenti di formaggio?“ pare abbia domandato Charles De Gaulle a proposito delle difficoltà incontrate nella guida della Francia. Chissà cosa avrebbe detto allora, monsieur le général, di fronte alle ben 487 varietà conosciute in Italia – senza contare quelle che sicuramente sfuggono alle maglie delle statistiche. Tra formaggi stagionati, molli, filanti e così via, le lavorazioni casearie hanno una storia lunghissima e ricca nel nostro Paese.

Se però tanti formaggi vantano appunto lunghe tradizioni e sono stati assaggiati da re, regine e signori nel corso del tempo, ce ne sono altri dalla storia più recente, ma che hanno comunque raggiunto alti vertici di qualità e sono ormai largamente apprezzati, in Patria e all’estero: il segno più evidente di come il genius loci italiano in cucina non si spenga mai. È esattamente il caso di un particolare formaggio a pasta filata, la burrata pugliese. Ottenuta dal latte vaccino intero, crudo o pastorizzato, la burrata è composta da un involucro esterno di pasta solida di mozzarella riempito con panna fresca o burro e ha una consistenza più soffice rispetto a quella della mozzarella stessa, soprattutto nella parte interna. Nei prossimi paragrafi scopriremo la storia della nascita della burrata, il suo metodo rigoroso di produzione e vi daremo qualche consiglio su come gustarla al suo meglio.

burrata pane

Burrata pugliese: la storia e i luoghi d’origine

Caso più unico che raro in un settore, quello alimentare, fatto di stratificazioni e saperi condivisi nei quali è quasi sempre impossibile districarsi fino a risalire alla fonte da cui un prodotto specifico è scaturito, per la burrata pugliese siamo in grado invece di riportare nome e cognome dell’inventore. Si tratterebbe di Lorenzo Bianchino – nomen omen – casaro della masseria di Piana Padula, all’interno dell’odierno Parco Nazionale dell’Alta Murgia nella provincia di Barletta-Andria-Trani.

Meno concordi si è sulla data di nascita: chi la colloca negli anni ‘20 del Novecento, chi negli anni ‘30, chi la spinge più avanti, addirittura a metà degli anni ‘50. Fatto sta che l’ingegnoso casaro avrebbe inventato questo goloso formaggio in occasione di un’abbondante nevicata che lo aveva isolato all’interno della masseria, impedendogli di trasportare il latte in città. E, come sempre quando si parla di produzione agricola e sostentamento, lasciare andare a male il latte non era un’opzione. Bianchino si sarebbe allora messo all’opera, recuperando la panna che affiorava naturalmente dal latte e, come nel procedimento per la conservazione del burro, creò un involucro con la pasta per la mozzarella per tentare di conservarvi all’interno il prodotto fresco. All’interno dell’involucro, poi, oltre alla panna, infilò anche altri residui di pasta filata. E da lì, il resto è una storia di successo, che ha portato la burrata a diventare un ingrediente importante nel già ricco paniere della cucina pugliese e a entrare nelle grazie degli chef.

Oggi la burrata di Andria vanta il marchio IGP, un consorzio di tutela nato nel 2017 e un disciplinare di produzione che prescrive con precisione le regole per una lavorazione che, se correttamente eseguita, può essere fatta in tutta la Puglia, e non solo nell’andriese.

Il metodo di produzione

burrata adria
Fonte: facebook.com/burratadiandria

La burrata pugliese osserva un procedimento di produzione totalmente manuale e artigianale, che si articola in diverse fasi, le prime delle quali non sono diverse da quelle per fare la mozzarella:

  • il latte viene riscaldato fino alla sua acidificazione, per poi essere miscelato al caglio per ricavare la cagliata;
  • la cagliata viene poi immersa nel siero o in acqua calda leggermente salata;
  • impasto e tiraggio: attraverso questa particolare e sapiente manipolazione si sviluppano le fibre elastiche della pasta della mozzarella e della burrata;
  • con ulteriori manipolazioni, la pasta filata viene ridotta alla forma di un involucro simile a un fagotto;
  • il fagotto viene farcito con avanzi di mozzarella (detti “stracci”) e crema di latte;
  • chiusura del fagotto con un legaccio o con l’acqua bollente e avvolgimento nelle foglie verdi di asfodelo – che indicano la freschezza e la qualità del prodotto al momento di essere servito.

La conservazione del prodotto avviene tra i 4 °C e 6 °C. La burrata pugliese, per la presenza della panna fresca, è un prodotto abbastanza delicato, che risente di sbalzi termici e del trasporto, e che non dura a lungo. Solo recentemente si è iniziato a ovviare a questo problema – e a supportare l’esportazione del prodotto fuori dal territorio di origine – con la vendita all’interno di buste o contenitori rigidi in plastica.

Come si consuma la burrata pugliese?

burrata e noci

Gli amici pugliesi saranno d’accordo che la risposta migliore è: così com’è. Questo perché si tratta di un formaggio già perfetto se assaggiato da solo. Tuttavia, per rendere onore alle sue origini mediterranee, possiamo guarnirla con un filo d’olio extravergine d’oliva o consumarla in abbinamento con i pomodori oppure in insalata.

Tuttavia, si tratta di un prodotto che stuzzica la fantasia anche in cucina, per cui il repertorio gastronomico si è ormai arricchito di molte ricette con la burrata pugliese, dove il nostro formaggio a pasta filante viene utilizzato per dare un tocco unico di sapore e delicatezza. Infatti la burrata può essere utilizzata per rendere ancora più invitanti il risotto o per creare fantastici condimenti per la pasta.

Tra i 400 e più formaggi d’Italia, qual è il vostro preferito?

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