di Alex Castelli.
I pistacchi sono i frutti – “drupe” in gergo botanico – di un piccolo albero originario del Medio Oriente molto diffuso in tutta l’area Mediterranea, il Pistacia Vera, alto al massimo sei metri. Ha tronco nodoso e contorto di colore grigio con foglie verde scuro caduche, composte da 3 o 5 foglioline ellittiche. Lunghi un paio di centimetri, i frutti hanno la polpa di colore verde smeraldo avvolta in una pellicina rossastra e racchiusa in un guscio duro e legnoso. La loro forma è allungata e vagamente affusolata, simile a un minuscolo pallone da rugby ma irregolare, leggermente compresso. Si raccolgono a settembre.
In cucina
Il pistacchio è un alimento molto energetico grazie a un’alta percentuale di grassi (54%) e di zuccheri (17%). Si consuma sia fresco che tostato e salato, come snack. È molto usato in pasticceria e gelateria per fare dolci, pasticcini, guarnizioni e soprattutto gelati. Il gelato al pistacchio è tra i più apprezzati dagli italiani: secondo i dati di uno studio realizzato da Eurisko per l’Istituto del Gelato Italiano si colloca al 7° posto, dopo classici intramontabili come cioccolato, nocciola, limone, fragola, crema e stracciatella. Il gusto pistacchio più buono si ottiene usando come materia prima il pistacchio di Bronte, in Sicilia.
Gli alti costi però spingono molti gelatieri artigiani a usare anche altre varietà, a volte miscelate tra loro, oppure i semilavorati industriali. Sia le une che gli altri danno ugualmente ottimi risultati, ma se vi capita un gelatiere che lo fa con quello di Bronte, vi consigliamo di non farvelo scappare. Allo Sherbeth Festival 2007 di Cefalù abbiamo gustato cinque gusti al pistacchio fatti con materie prime diverse: erano tutti buoni, ma quello fatto al 100% con il pistacchio etneo era una spanna sopra tutti gli altri! Oltre che nel dolce, il pistacchio può essere impiegato anche in preparazioni salate. Siccome il suo aroma non si diffonde molto in cottura ma si avverte quando è masticato, si usa soprattutto come elemento decorativo in ripieni, aspic, paté. Si usa anche come ingrediente della mortadella prodotta nel sud Italia, quindi non lo troverete mai nella tipica mortadella bolognese. Se acquistate quest’ultima, dunque, non chiedete al vostro salumiere di fiducia come mai non ci sono i pistacchi, potrebbe offendersi!
Come prepararlo
Prima di usare i pistacchi in cucina basta sgusciarli e scottarli per due minuti in acqua bollente salata per privarli poi della pellicina scura. A quel punto si possono usare interi o tritati, a seconda della ricetta. Il pistacchio di Bronte In Italia il pistacchio si produce intensamente solo in Sicilia. Il più buono e famoso è il pistacchio di Bronte (Ct), che cresce sui terreni accidentati del comune inerpicato alle falde dell’Etna. Danno il meglio grazie al connubio tra le caratteristiche del terreno lavico e un clima ideale, con temperature primaverili medie intorno ai 12° e sui 27° a Luglio-Agosto, per la maturazione. Meglio ancora se condito da qualche pioggia temporalesca che favorisca il pieno sviluppo del frutto. Le piante si coltivano a un’altitudine tra i 400 e i 700 metri sul livello del mare e danno frutti di un colore verde smeraldo brillante e profumo intenso, resinoso e grasso. Gli alberi non vanno concimati né irrigati, richiedono pochissimi trattamenti e solo un paio di potature l’anno. Producono ogni due anni e Bronte vive attorno ai ritmi di queste piante: la raccolta è una festa che coinvolge tutti, tra fine agosto e inizio settembre. Il paese vive di pistacchi coltivandoli, vendendoli, trasformandoli in dolci, salse e ottimi gelati. La concorrenza di prodotti meno pregiati e più a buon mercato come i pistacchi iraniani, turchi e americani hanno fatto calare la domanda di questo prezioso frutto della terra di Sicilia, che dà il meglio di sé in pasticceria e nella produzione di gelati artigianali.
La produzione
Bronte dedica al suo prodotto di punta una sagra in cui si possono degustare sia i pistacchi freschi che le conserve e le preparazioni più varie, dalla salsiccia alla pasta al pistacchio. Secondo i dati forniti dal Comune di Bronte, il giro d’affari è di 18 milioni di euro per una produzione che rappresenta l’1% di quella mondiale e ammonta a circa 16.000 quintali di prodotto sgusciato ogni due anni. L’80% viene esportato, il 20% immesso nel mercato nazionale. I piccoli produttori nella zona etnea sono un migliaio, con un appezzamento medio di circa un ettaro ciascuno, ma ci sono anche alcuni grandi produttori con coltivazioni più vaste. Gli stessi produttori dopo la raccolta liberano il frutto dal mallo che lo contiene e provvedono all’asciugatura, per poi venderlo agli esportatori. La “tignosella”, il pistacchio con il guscio, si vende all’ingrosso a 6-10 euro al chilo. Quello sgusciato a 12-20 euro.
Per finire due curiosità, una musicale e una botanica. La prima: l’inno di Bronte è dedicato al pistacchio e s’intitola, significativamente, “Diamanti virdi”. La curiosità botanica: la pianta del pistacchio che dà i frutti (Pistacia Vera) è la femmina e viene impollinata dal maschio detto terebinto (Pistacia Terebinthus). Per avere una buona produzione, per ogni otto piante femmine bisogna piantare un maschio, sopra vento rispetto alle femmine. In questo modo il vento riesce a trasportare il polline fino ai pistilli femminili, che poi fruttificano in grappoli simili a quelli delle ciliegie ma con più frutti.