Il legame dei rom con il cavallo è talmente forte che non si può spiegare. Questo animale, infatti, è presente da sempre nelle loro vite e nella loro cultura, tant’è che sembra quasi impossibile risalire alle motivazioni che in origine lo rendono così prezioso. Quel che però è certo è che molti fin dall’inizio della loro emigrazione in Occidente, hanno intrapreso mestieri legati ai cavalli, in particolare in alcune zone come la Puglia e il Salento, per i motivi di cui vi parleremo oggi. E a raccontarcelo è la persona giusta, ovvero Claudio Cavallo di Sanarica, nipote di uno dei più grossi allevatori di cavalli che ci sia mai stato da queste parti, oltre che musicista del gruppo Mascarimirì (che vi consigliamo di ascoltare e che significa “oh Madonna mia!”) e autore del progetto Gitanistan. “È arrivato il momento di ripensare in generale tutto quello che riguarda il popolo rom e di decostruire l’immagine sbagliata che troppo spesso viene associata”. E noi non possiamo che essere d’accordo con lui.
L’emigrazione rom in Salento e il progetto “Gitanistan”
I primi rom sono emigrati verso Occidente dall’India, in particolare dal Rajasthan, tra il 1010 e il 1020 d.C. Negli anni la loro presenza è cresciuta in modo esponenziale: le prime tracce in Italia risalgono al 1300 e al 1400 quando i sinti si diffusero più tra Veneto e Piemonte, e i rom nelle parti restanti dell’Italia. Ricordiamo infatti che ci sono vari gruppi diversi all’interno di quello che viene chiamato in generale, erroneamente, popolo o cultura “rom”. In particolare, in Salento, c’è un documento del 1601 che attesta il battesimo di due fratelli Rinaldi, tra i cognomi più diffusi. E Claudio Cavallo, con il suo progetto “Gitanistan, lo Stato immaginario delle famiglie rom salentine” sta indagando proprio tutti questi aspetti: “sono figlio di un salentino e di una rom, Bruno Giagnotti e Lucrezia Rinaldi, a sua volta figlia Antonia Barbetta e Giuseppe Rinaldi detto ‘Seppu U Zingaru’. Da tempo sentivo l’esigenza di partire da uno studio sulla mia famiglia per poi censire tutte le altre di origini rom presenti oggi in Salento dalla fine dell’‘800 e dai primi del ‘900. E di farlo con uno studio storico e antropologico, per far emergere e raccontare il nostro passato e i cambiamenti che sono avvenuti nel tempo, come nel caso delle macellerie equine”. Gitanistan è diventato anche un bellissimo documentario di Pierluigi De Donno, oltre che una serie di incontri avvenuti alla Masseria Ospitale con lo scopo di diffondere e far conoscere la cultura rom e in particolare il loro legame con i cavalli e le macellerie equine.
Il legame dei rom con il cavallo e le macellerie equine in Puglia
La maggior parte dei rom hanno un’innata predisposizione per la cura dei cavalli. Un rapporto profondo, di cura e di rispetto, che viene da lontano. “Probabilmente è nel nostro dna” dice Claudio. E le attività che svolgono da sempre sono varie: allevatori, veterinari specializzati nei cavalli, commercianti, macellai di carne equina. Ma se sono emigrati ovunque, perché proprio in Puglia e in Salento si è diffuso così tanto il consumo di carne equina? In Italia, infatti, non sono tanti i luoghi dove si consuma come qui; un’altra zona, ad esempio, è il piacentino, dove si mangia la picula ad caval, un ragù con cipolla, lardo e peperoni.
Il motivo, probabilmente, è da rintracciare nel fatto che in Salento la cultura rom si è intrecciata con quella messapica, dove il cavallo era altrettanto sacro e importante; pare infatti che siano stati i messapi, prima dei rom, a portare e diffondere questo animale nel territorio salentino, ma non si tratta di dati certi. Fatto sta che qui per anni ci sono state tantissime macellerie solo equine, cioè che vendevano esclusivamente carne di cavallo. E il 70% erano di origini rom, come la ditta Barbetta & Figli del nonno di Claudio, detto “Seppu U Zingaru”.
“Seppu U Zingaru”, tra i più grandi allevatori di cavalli in Salento
In Salento se lo ricordano tutti. Ma che dico Salento, ben oltre! Ebbene sì, perchè Seppu U Zingaru è stato uno dei più grossi allevatori di cavallo che ci sia mai stato. Inizia come fruttivendolo insieme alla moglie Antonia, per tutti Tetta; poi insieme fondano la ditta Barbetta & Figli, che nel giro di poco tempo diventa nota ovunque. Specializzata in carne equina, prendevano anche 500 cavalli a settimana, che allevavano, vendevano o macellavano. “Per mio nonno comprare un cavallo era come l’acquisto di una macchina, perché si mangiava o si vendeva dopo anni e anni (di lavoro e anche di sfruttamento), non come oggi che si consumano già i puledri”. Nel tempo anche altri parenti, figli, nipoti e cugini di Seppu, hanno aperto delle macellerie equine in Salento, in particolare cinque: a Maglie, Cursi, Sanarica, Muro Leccese e Corigliano d’Otranto. Ma un paio di anni dopo la morte di Seppu, nel 1989, la ditta ha chiuso e nel tempo anche le altre macellerie; l’ultima che resisteva ha ceduto proprio qualche mese fa. Ad oggi l’unico rimasto della famiglia che fa ancora il macellaio, lavora in un supermercato. E così, non è rimasto più nessuno a seguire il mestiere del nonno, che tanto aveva fatto, restando nella memoria di tutti. Ancora oggi a Claudio dicono: “tuo nonno me lo ricordo, era uno di cuore, mi ha venduto un cavallo”, “a me invece l’ha curato!”. Ed è un peccato perché in questo modo si va a perdere anche tutto un corpus di conoscenze: “non è mica un mestiere che si improvvisa così” continua Claudio un po’ a malincuore, “ci vuole arte nel saper scegliere e riconoscere un cavallo, così come rispetto nel macellarlo”. Ma fino a qualche decennio fa non era affatto così.
La diminuzione del consumo della carne di cavallo in Puglia e la (quasi) scomparsa delle macellerie solo equine
Nel tempo il consumo di carne di cavallo è diminuito e di conseguenza anche le macellerie equine, tant’è che oggi è quasi impossibile trovarne una che venda solo ed esclusivamente carne equina come un tempo. E questo per almeno almeno tre motivi, ci spiega Claudio: “innanzitutto sono cambiati i consumi, e la carne di cavallo non è più commercialmente interessante, si mangia meno, non fa più business. In secondo luogo nuove regole burocratiche, cioè tutte le nuovi leggi sulla macellazione, non hanno di certo favorito questo tipo di attività. E infine perché i figli non vogliono più fare il mestiere dei padri, anche per questioni razziali: questo lavoro viene troppo collegato all’essere rom e quindi a tutto il carico che questa parola si porta ancora dietro”. Inoltre, fino agli anni Ottanta, infatti, si mangiava ovunque, soprattutto nelle osterie, anzi; la carne di cavallo era proprio il pretesto per ritrovarsi a bere nelle puteche, ossia nelle botteghe, mentre invece oggi non hanno più questo ruolo sociale. “La diminuzione delle carne di cavallo è legata anche a questo cambiamento, cioè al fatto che le osterie non sono più luoghi d’incontro come una volta”.
La carne di cavallo nella cucina rom-salentina
Come anticipato, fino anche solo qualche decennio fa, la carne di cavallo era molto più diffusa, mentre negli ultimi anni il consumo è calato. Ma non nella famiglia di Claudio, dove si mangia ancora almeno tre volte a settimana. Il piatto più diffuso di quella che potremmo azzardarci a chiamare “cucina rom salentina” sono senza dubbio i pezzetti di cavallo, cioè la carne equina tagliata appunto a pezzetti e cucinata come se fosse una ribollita o un gulash (non a caso c’è l’influenza di un piatto dell’Est); in passato si preparava di più in bianco, sul fuoco, senza pomodoro, solo con odori ed erbe presenti; successivamente quasi sempre in rosso con il sugo. Oggi la cucina salentina ha subito un generale processo di “turisticizzazione”, cioè è stata in parte modificata per un uso turistico. “Pensate che i pezzetti oggi si trovano con la carne di vitello!” dice Claudio. Un’altra ricetta simile, molto domenicale, è la carne di cavallo cucinata alla genovese, cioè con tantissima cipolla. E poi la classica tagliata di carne equina ai ferri o le polpette di cavallo, che vi consigliamo di provare al Mezzo Quinto, cibo di strada nel centro storico di Lecce.
Conoscevate il legame tra il popolo rom e la carne di cavallo?