La filiera del cacao è una delle più redditizie tra quelle agroindustriali, con un giro d’affari miliardario e un trend in crescita, ma è anche considerata poco sostenibile, per l’ambiente come per le condizioni di lavoro di chi è impiegato nelle attività manuali alla base della produzione. La deforestazione e la conduzione delle piantagioni, concentrate soprattutto in Africa e colpite dalla crisi climatica, pesano su questa coltivazione, la cui immagine è offuscata anche da situazioni diffuse di sfruttamento. Ma in cosa consistono queste criticità e cosa si sta facendo per superare i problemi del settore? Considerando rapporti e progetti locali e internazionali di commercio equo-solidale, cercheremo di saperne di più.
La produzione del cacao tra business e incognite
Alla base del cioccolato e di un’infinità di snack, biscotti e dolci di vario tipo, il cacao nel corso dei secoli ha avuto un successo commerciale tale da poter costituire un intero settore economico, con un giro d’affari che attualmente supera i 124 miliardi di euro ed è destinato a espandersi ulteriormente. Nel mondo si consumano più di 7 milioni di tonnellate di cioccolato all’anno – in Italia circa 4 kg pro capite – mentre la produzione di cacao, che avviene in Africa, America Latina e in misura minore nel Sud-Est asiatico, ammonta a circa 5 milioni di tonnellate. Il 70% di questo quantitativo proviene dalla Costa d’Avorio e dal Ghana, due Stati dell’Africa occidentale. Quasi l’80% del cacao africano viene acquistato dalle multinazionali dolciarie e l’Unione europea è il principale importatore.
Secondo un report pubblicato da Fiormarkets, nel 2028 l’industria del cioccolato potrebbe valere 200 miliardi di euro. Tuttavia, i valori altalenanti del cacao – una delle principali commodities agricole – e soprattutto le incertezze dovute ai cambiamenti climatici costituiscono dei rischi da non sottovalutare per qualsiasi previsione di investimento. Attualmente, però, la domanda in aumento spinge anche la produzione – che migliora le sue rese e cerca nuove aree da coltivare – come anche l’interesse degli investitori. Nel complesso, mentre i colossi del cioccolato prosperano, moltissimi agricoltori e lavoratori continuano a soffrire per la magra remunerazione che ricevono.
I lati oscuri della filiera: problemi sociali e ambientali
Pur valendo miliardi di euro, il settore del cacao si caratterizza per le enormi disuguaglianze che interessano il lavoro alla base della filiera e per urgenti questioni legate al cambiamento climatico e alla sostenibilità delle coltivazioni: tutte criticità emerse già nel 2017 nel rapporto Chocolate’s Dark Secret, curato dall’organizzazione non governativa Mighty Earth.
Questo sistema frena lo sviluppo locale – limitato alla sola esportazione della materia prima – per il quale, invece, sarebbe importante la gestione dei processi di trasformazione, oggi effettuati quasi esclusivamente in Europa e Nord America. Si tratta di un modello sostanzialmente replicato nel Sud del mondo per tante commodities, alimentari e non, che ai giorni nostri perpetra antiche logiche di sfruttamento, come abbiamo visto occupandoci della filiera dell’avocado.
Anche la coltivazione del cacao è vittima del cambiamento climatico
Anche dal punto di vista ecologico, questo sistema non è certo ottimale e il costo per l’ambiente risulta assai elevato. Nonostante gli impegni assunti dalle aziende, a livello locale in Africa migliaia di ettari di foreste vengono sacrificati per fare spazio alle piantagioni di cacao, una condizione che in Costa d’Avorio e Ghana interessa in larga parte anche aree protette, con conseguenze gravi per la flora e la fauna locale, con situazioni particolarmente critiche per alcune specie, come gli elefanti della foresta e gli scimpanzé.
Sempre secondo il rapporto Chocolate’s Dark Secret, il depauperamento dell’ambiente in Africa occidentale starebbe spingendo le grandi aziende a riprodurre questo modello in aree tropicali finora meno coinvolte dalla coltivazione del cacao, ma altrettanto predisposte dal punto di vista pedoclimatico, come le foreste pluviali del Perù e del Sud-Est asiatico, dove già si coltiva la palma da olio.
Oltre a contribuire in una certa misura alla crisi climatica, le piantagioni di cacao risentono dei cambiamenti in atto, che ormai da alcuni anni incidono sulle quantità prodotte. In particolare, le piante soffrono le temperature e le siccità eccessive, che la desertificazione sta portando proprio nell’Africa occidentale, una situazione che già colpisce i profitti del settore. Per difendere le coltivazioni, si stanno impiantando alberi ad alto fusto che possano proteggere quelli di cacao come avverrebbe in natura, per bilanciare gli effetti della deforestazione.
La produzione etica del cacao e le difficoltà per rendere più equo il settore
Per rimediare, almeno in parte, alle distorsioni del mercato globale e ai danni sociali e ambientali generati dalla filiera del cacao, da tempo sono sorti progetti di commercio equo-solidale e di filiere sostenibili, certificati da marchi internazionali – come World Fair Trade Organization – oppure operanti in piccole realtà locali.
Negli ultimi anni si sono tentate anche iniziative politiche da parte dei Paesi produttori, allo scopo di migliorare i salari dei lavoratori. Costa d’Avorio e Ghana, nel 2019, hanno avviato un’iniziativa congiunta in questo senso, la cosiddetta “Copec”, sulla falsariga dell’Opec (Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio), imponendo agli importatori una tassa di 400 dollari a tonnellata da sommare al prezzo di mercato determinato dalle quotazioni di borsa. Per evitare l’imposta, però, le multinazionali hanno avviato una battaglia arrivando ad agire all’Intercontinental Exchange (Ice), la borsa in cui vengono negoziate le materie prime agricole, per poter usare le scorte immagazzinate per le situazioni di emergenza e aggirare le produzioni ivoriane e ghanesi. Per controbattere, i due Stati africani hanno lanciato una campagna mediatica, denunciando il mancato pagamento della sovrattassa a sostegno dei contadini.
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Allo scopo di sopperire alla mancanza di industrie di trasformazione locali, il Gruppo Abele di Don Ciotti nel 2018 ha fondato in Costa d’Avorio Choco+, azienda che produce tavolette di cioccolato 100% ivoriano, per poter esportare all’estero prodotto finito e generare più remunerazione e ricchezza in loco. Questa realtà, inoltre, offre lavoro a giovani ivoriani e mira a espandere la produzione anche ai cosmetici a base di cacao. Grazie alla collaborazione con la piattaforma Trusty, Choco+ garantisce il tracciamento e il rispetto dell’ambiente e dei diritti umani dei prodotti in tutte le fasi di lavorazione.
Con un impianto simile, in Africa sono state create altre realtà di impresa sociale e federazioni di coltivatori, anche al fine di azzerare progressivamente l’uso di pesticidi e la deforestazione, elevando al contempo la qualità produttiva e valorizzando le varietà locali di cacao. Recentemente, ad esempio, la società ghanese Koa Impact ha inaugurato uno stabilimento all’avanguardia alimentato da energia solare, per trasformare la polpa di cacao in succhi di frutta da destinare all’esportazione. Questa nuova struttura impiegherà almeno 250 persone, aiutando i coltivatori a ridurre gli sprechi alimentari e contribuendo ad aumentare la redditività della filiera del cacao sul territorio.
Le certificazioni di sostenibilità non bastano: occorre riformare la filiera
Secondo Cocoa Barometer 2022 (rapporto biennale sulla sostenibilità del settore del cacao curato da VOICE, una rete internazionale di ong e sindacati), gli approcci adottati finora per far uscire i contadini dalla povertà non sono sufficienti, e l’aumento delle rese non comporta necessariamente una crescita dei redditi. Se i prezzi alla produzione non si alzeranno significativamente, la sostenibilità nel settore resterà un miraggio. Affinché il cacao diventi veramente sostenibile – per i coltivatori, per i loro diritti e per l’ambiente – è necessario un profondo cambiamento nella governance e nelle dinamiche di acquisto. Ad ogni modo, lo sviluppo della legislazione sulla catena di approvvigionamento nei Paesi consumatori è uno passo positivo, anche se solo quando si concretizzerà pienamente si potranno valutare i risultati.
Rispetto alla diffusione delle produzioni sostenibili, anche se fra un terzo e la metà dei volumi mondiali di cacao ha una certificazione di sostenibilità, nel complesso del mercato permangono i soliti problemi. Le grandi aziende e i rivenditori di cioccolato tendono a cercare comunque l’etichetta più economica, trascurando gli effetti negativi di questa scelta per la base della filiera. I termini “cacao certificato” e “cacao sostenibile”, per Cocoa Barometer, sono ancora usati erroneamente in modo intercambiabile.
I Paesi consumatori, in particolare l’Unione Europea e il Regno Unito, stanno introducendo una legislazione per cercare di spezzare il legame tra produzione di cacao, lavoro minorile e deforestazione. Sviluppare l’industria della trasformazione del cacao nei Paesi produttori, però, va contro gli interessi di chi oggi controlla il mercato: i colossi della trasformazione e del trasporto. Negli Stati produttori, invece, occorre colmare le lacune legislative che ancora permangono e superare le sfide legate all’applicazione delle leggi già in vigore, anche per questo le istituzioni devono essere rafforzate.
Per quanto riguarda la difesa dei diritti, il rapporto precisa che quasi tutti gli sforzi nel settore del cacao raggiungono solo gli agricoltori già organizzati in cooperative, mentre la maggior parte dei coltivatori di cacao non è organizzata e non beneficia dei miglioramenti. Affinché le cooperative possano svolgere a pieno un ruolo positivo, queste dovrebbero essere guidate dagli agricoltori stessi e gestite professionalmente e con parità di genere. La trasparenza e la responsabilità sono essenziali per rendere gli sforzi di sostenibilità credibili ed efficaci, e un primo passo fondamentale in questa direzione consiste nella creazione di sistemi di tracciabilità nazionali e autorevoli.
Sebbene il reddito dignitoso per i contadini sia diventato un obiettivo accettato per il settore del cacao, da parte delle singole aziende e dei governi mancano ancora impegni concreti e definiti nel tempo. Sempre secondo il rapporto di VOICE, è necessario agire contemporaneamente su tre dimensioni distinte: tecniche agricole, politiche di governance e pratiche di acquisto. Tuttavia, non tutte e tre le dimensioni hanno lo stesso status: le buone pratiche agricole sono una strategia utile solo se il cacao è sufficientemente remunerativo e l’onere di agire per primi ricade direttamente sulle aziende e sui governi coinvolti nel settore.
L’industria del cacao è destinata a crescere ancora nei prossimi anni, e il fatto che i consumatori richiedono sempre più spesso cioccolato con cacao prodotto in modo etico è una speranza per un’evoluzione positiva.
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