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Giornata contro le Mafie: i beni confiscati a 20 anni dalla legge sul riutilizzo

Vent’anni di riutilizzo, 1000 luoghi della memoria, 20 miliardi sprecati. Numeri che si incrociano, si specchiano, chiedono aiuto e attenzione, raccontano da soli una lotta che quattro lustri non hanno fiaccato. Il 21 marzo, Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, è stavolta anche un traguardo: vent’anni fa vedeva la luce la legge 109, la madre della confisca dei terreni in mano alle mafie e del loro riutilizzo a fini sociali.

L’inizio di un percorso che ha sottratto 17.577 beni e creato una cultura della legalità e del lavoro, con Libera in prima fila, in continuo, instancabile movimento. L’agromafia, uno dei versanti su cui la criminalità organizzata sta battendo di più, riceve ogni anno dalle confische, dall’opera delle associazioni, dalle operazioni di polizia colpi importanti, ma mai sinora mortali.

21 marzo giornata contro le mafie: vent’anni di impegno

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La ventunesima Giornata in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, promossa da  pubblico in collaborazione con la Rai segretariato sociale e Rapporti con il pubblico, riempie quest’anno il centro di Messina e vede iniziative contemporanee in mille città italiane, distribuite in tutte le regioni. “Ponti di memoria, luoghi d’impegno” è il tema che accompagna la giornata, con l’incontro tra 600 familiari delle vittime, seminari tematici, veglie di preghiera.

Un appuntamento preceduto da centinaia di iniziative promosse su tutto il territorio nazionale e regionale, tra incontri nelle scuole, cineforum, dibattiti, convegni. Nei mille luoghi del ricordo un copione uguale anche se emozionalmente diverso: dal palco ecco scandire i nomi di 900 vittime innocenti delle mafie. Semplici cittadini, magistrati, giornalisti, appartenenti alle forze dell’ordine, sacerdoti, imprenditori, sindacalisti, esponenti politici e amministratori locali morti per mano della criminalità organizzata perché facendo il loro dovere disturbavano l’avanzare del marcio.

Quindi da Bolzano a Potenza, da Sestu a Torino, cortei e altre manifestazioni nelle università, nelle carceri, nella fabbriche, e iniziative anche oltreconfine, da Losanna a Zurigo, Bruxelles, Berlino, Parigi. Dal 21 marzo ’96, quando tutto partì da Roma, ogni 21 marzo centinaia di persone scendono in strada invitate da Libera, trasformando il debutto della primavera in un “giorno di risveglio della verità e della giustizia sociale”.

L’agrodolce dei beni confiscati alle mafie

Fonte immagine: cooperareconliberaterra.it

Sono 17.577 i beni confiscati alla criminalità organizzata e riutilizzati a uso sociale. È uno dei risultati più importanti dei vent’anni della legge 109, che quest’anno sono uno degli argomenti forti della giornata contro le mafie. Terreni, case, aziende strappati a camorra, ‘ndrangheta, mafia e diventati luogo della legalità e del lavoro pulito. La maggior parte in Sicilia, Puglia, Campania e Calabria, ma una quota significativa anche in Lombardia. Ma c’è anche un rovescio negativo in questa medaglia luccicante di valori positivi. Sono gli oltre 20 miliardi che mancano all’appello: è il costo dei beni non utilizzati secondo le stime dell’Inag, istituto nazionale degli amministratori giudiziari.

È anche uno dei punti cardine del quarto rapporto elaborato da Coldiretti con Eurispes e Osservatorio criminalità in agricoltura, sottolineato dal presidente dell’osservatorio, l’ex magistrato Giancarlo Caselli, e isolato come uno dei nodi critici della lotta alle infiltrazione nella filiera agroalimentare. E ancora, dal dossier viene fuori che su tutto il territorio nazionale ci sono 26.200 terreni nelle mani di soggetti condannati in via definitiva (per reati che vanno dall’associazione a delinquere di stampo mafioso alla contraffazione). Beni che, spesso per la lunghezza del processo di sequestro confisca e destinazione, sono di fatto ancora nella disponibilità dei soggetti mafiosi. 

Intrappolati nella burocrazia

Un immobile su cinque confiscato alla criminalità organizzata riguarda l’agroalimentare. Il 53,5% – si legge nel rapporto di Coldiretti – si concentra in Sicilia, mentre la restante parte riguarda soprattutto le regioni tradizionalmente a forte connotazione mafiosa: la Calabria (17,6%), la Puglia (9,5%) e la Campania (8%). Seguono la Sardegna (2,3%), la Lombardia (1,6%), la Basilicata (1,5%) e il Piemonte (1,3%).

Le altre regioni si attestano sotto l’1%. Sono numeri importanti, in considerazione dei quali la Dia ha avviato un monitoraggio e i report che ne raccolgono i risultati denunciano diverse irregolarità con moltissimi beni che risultano ancora occupati o dai mafiosi stessi o da loro parenti e prestanome. All’origine ci sono inadempienze, procedure farraginose, la trappola della burocrazia. I criminali che non vengono sgomberati dagli immobili godono persino del vantaggio di non dover pagare le tasse sul bene, poiché sequestrato.

“Senza dimenticare – sostiene Coldiretti – che i beni di fatto non riutilizzati, anche quando non sono più direttamente a disposizione dei soggetti mafiosi, comunicano all’esterno il permanere del loro controllo sul territorio”.

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