Mangiare il mondo digerendo cultura. È ciò che mi auspico tutte le volte che ad un buon risotto alla milanese scelgo la cucina di un altro paese, a portata di mano nella ricca Milano. Vi avevamo già suggerito alcuni validissimi ristoranti della città meneghina assolutamente da tenere tra i “i sempre validi”, ma stavolta vi portiamo a spasso attorno al mondo. Niente valigia né binocolo, la cucina etnica dei cinque continenti non è mai stata così vicina ed è possibile conoscerla viaggiando ma restando entro i confini milanesi. I ristoranti più apprezzati e frequentati sono ormai i giapponesi perché sono i più numerosi e perché si sa, il sushi piace, è fresco, è pesce. Ma dei migliori ristoranti sushi di Milano avevamo già parlato qui e stavolta rimarrete a digiuno di maki, o quasi. Dimenticate gli indirizzi dove fino a qualche anno fa (e ahimè ancora tuttóra) si andava per mangiare qualcosa velocemente e a poco prezzo, qui parliamo di locali nuovi, il meglio dell’etnico sulla piazza milanese. Alcuni stanno vivendo una seconda giovinezza grazie alle nuove generazioni al passo con i tempi, altri sono appena nati ma con idee ed obiettivi ben chiari.
Ristoranti etnici Milano: i migliori 4 secondo noi
Wicky’s Wicuisine Seafood
La Wicky’s Cuisine è prima di tutto filosofia, poi uno stile di cucina. A capo della brigata di 22 ragazzi c’è Priyan Wicky, cingalese di 47 anni che lavorava come criminologo, ma questo è il passato. Arrivato in Giappone all’età di sette anni, se oggi è un grandissimo chef deve ringraziare alcuni punti fermi della sua vita che lo hanno formato e cresciuto: da Keller di Bali a Kan di Tokyo e Kaneki di Kyoto. Dal 2015 lavora nel suo ristorante in Corso Italia ed orgoglioso di avere costruito tutto da solo. La sua cucina è la Wicuisine, come la definisce, unica nel suo genere e fatta di sperimentazioni ed elaborazioni a cavallo tra Giappone, Italia e Sri Lanka. Contaminazioni da tutto il mondo e grande cultura insieme alla consapevolezza di sapere, che non è saccenza ma orgoglio e sicurezza. Caratteri che si ritrovano nei piatti realizzati con ingredienti selezionati e lavorazioni dettagliate.
Tecnica e disciplina giapponese per piatti eseguiti magistralmente che lasciano il segno. Cucina Kaiseki, la più alta e raffinata espressione della cucina giapponese, fatta di suggestione e ed equilibri gustativi. Chef Wicky la adotta come paradigma ma la trasla a suo piacimento declinandola attraverso le tradizioni gastronomiche di tutto il mondo. Sedetevi ad uno dei tavolini della sala divisa in due da un corridoio ma se siete fortunati (e previdenti da aver prenotato con anticipo) accomodatevi al banco dove lo chef e suoi fidi vi allieteranno con un menu da loro ideato giornalmente. Preparatevi ad un percorso pregno di colori, estetica del piatto e venti assaggi differenti (a 150€). Le tartare di pesce incantano e i suoi piatti sono bellezza delicata e piacevolezza sensoriale, ne sono la prova il tonno appena scottato con salsa al pepe del Punjab, senape giapponese, zenzero e olio extra vergine di oliva, il carpaccio di pesce bianco con salsa di soia lavorata con aceto di Champagne, indivia belga al forno, bottarga di merluzzo, capperi Serragghia di Pantelleria e olive, il carpaccio di Angus scozzese, il sushi con riso allo zafferano abruzzese o il misto con cui intraprendere un vero viaggio. Per ogni altra richiesta c’è l’impeccabile Anna Sala, sommelier e direttrice del servizio.
Inkanto
L’autentica cucina peruviana è sul Naviglio Pavese a Milano. Il ristorante Inkanto è la creatura di Sheilla Diaz e del marito Cesar Recharte. Lei sorridente e sicura in cucina, lui a dirigere la sala, ogni giorno servono la propria cultura, al passo con il livello evolutivo che oggi vive la gastronomia peruviana. Prima Roma, dove Cesar e Sheilla dirigevano il ristorante di successo Inka’s Grill, dove Sheilla frequentava la scuola di pasticceria presso l’Associazione Accademia del Gusto Tu Chef e dove Cesar è diventato Manager della ristorazione all’Alma di Gualtiero Marchesi. Sulla carta non dovrebbero esistere dubbi sul livello del nuovo Inkanto milanese, e così è.
Tra i fornelli Sheilla realizza una cucina peruviana autentica, come lei dice “la stessa che preparerei nel mio paese, per la mia famiglia”, degna di rispetto e avvalorata dalla formazione acquisita tra gli Stati Uniti e l’Italia. Ingredienti tipici per ricette che mirano ad esaltare la tradizione e a far comprendere la vera cucina peruviana. Immancabile il ceviche, piatto nominato ufficialmente Patrimonio Culturale della Nazione, proposto nella sua ricetta tradizionale e in varianti personalizzate dalla chef: sette tipi dove tre sono quelli tradizionali (di pesce, di pesce e frutti di mare e al leche de tigre) dove il branzino viene esaltato con una marinatura di dieci minuti in succo di lime, cipolla, coriandolo e servito con peperoncino e mais fritto.
I “meno classici” sono preparati con capesante, gamberi, tonno (squisito con olio di sesamo e avocado) e la variante vegetariana. Assaggiate il cuore di vitello servito con polpa di granchio al peperoncino e maionese, pure di patate e insalata di quinoa con fave, cetriolo, sedano e formaggio. Oppure il panino de chicharron, maiale fritto (spuntatura) con manioca fritta, patate dolci, salsa peperoncino e huacatay, “tradizionalmente rappresenta la colazione della domenica a casa dei genitori” racconta (un po’ nostalgico) Cesar. Il menu è molto ampio e potrete scegliere tra polpo alla crema d’oliva, empanadas, zuppe e uno dei piatti più famosi, il quinotto (risotto di quinoa) con spezie peruviane, vino e gamberi o asparagi. Ovviamente dovrete pasteggiare con birra made in Perù o ancor meglio in questo periodo, con un fresco pisco sour. Una coppia giovane e pura, degna di rappresentare in Italia una parte di mondo stupenda e maestosa… attraverso la cucina.
Dawali
Varcando la porta del ristorante libanese Dawali, con molta probabilità la prima persona che incontrerete sarà una bella donna alta, dai capelli neri e gli occhi di un verde chiaro affascinante. Potrebbe facilmente sembrare la madre della ragazza afgana ritratta nella celebre fotografia da Steve McCurry se non fosse che è italiana e si chiama Angela. Insieme a Federico Aldini gestisce questo validissimo ristorante dal 2007. Di italiani ci sono solo loro perché il resto della squadra (compreso il marito di lei) è di origine libanese così come la cucina che viene servita, decisa e saporita, senza dubbio è l’espressione più raffinata della cucina mediorientale. Tante verdure, carne di pollo, manzo e agnello, frutta secca e condimenti a base di succo di limone.
Ma la prima volta che vi accomoderete ai tavoli del Dawali rimarrete entusiasti dai mezzeh, i milleuno antipasti tra colori e sapori inediti (che da soli bastano e avanzano). Sono caldi e freddi e se vorrete potrete assaggiarli tutti, serviti insieme a riempire il vostro tavolo di profumi invitanti. L’hommus bi tahineh (pure di ceci e salsa di sesamo), il muthabbal (pure di melanzane e salsa di sesamo), il labne bittum (formaggio menta e aglio) i warak inab (involtini in foglie di vite, riso, cipolla, pomodoro) e una squisita insalata di cavolfiore. Ma ci sono anche gli immancabili falafel (polpettine di fave, ceci e cumino), il loubie bi zeit (fagiolini, pomodoro e cannella) e l’adorabile hummus. Oltre ai classici della tradizione troverete anche pietanze a base di carne marinata e non come il jawanih bi kisbara (ali di pollo marinate e coriandolo) e la kibbi naii (carne trita cruda, grano tritato e cipolla). Un indirizzo da scegliere ogni volta che la mente vuole viaggiare e il gusto regalarsi una gioia. A pranzo e a cena con numerose etichette vinicole libanesi da provare.
Ghe Sem
Dim sum ripieni di sapienza italiana e cinese: sono i ravioli che Ghe Sem propone con il suo nuovo, fresco e giovane concept in zona Cadorna. Un locale adatto sia al pranzo che alla cena con una proposta snella ed immediata, pensata dal trio Fabrizio Casolo, Gianmarco Senna e Daniele Ferrari. Nelle mani di quest’ultimo, già chef della Trattoria La Pesa di via Fantoni e grande appassionato, è affidata la cucina. Ghe Sem (ci siamo in milanese) vuole esaltare, e ci riesce, il rispetto della tecnica cinese nella preparazione e nella cottura dei ravioli, alleggerendo e caratterizzando i diversi ripieni proposti, per renderli più vicini al gusto italiano. Non avrete molto da pensare, dim sum fatti bene e di tutti i tipi, dovrete solo scegliere quanti mangiarne.
Una ventina circa le divertenti tipologie dai più classici al “sapore d’Asia” ai più “innovativi” che richiamano i profumi mediterranei e sanno di Italia: dalla seppia e ikura al gambero al vapore o alla griglia, dai ripieni di ossobuco e zafferano alla fassona e cipolla caramellata, dalla lingua salmistrata e salsa verde ai funghi o scamorza e spinaci, dal mascarpone e ‘nduja al manzo e tartufo nero, fino allo storione e caviale Calvisius (sarà possibile chiedere di assaggiarne gran parte con un percorso degustativo).
I ripieni sono pensati e realizzati da Daniele e la pasta rispetta la tradizione che merita, quindi stesa e maneggiata fino al dim sum pronto per la cottura dalle piccole mani di un ragazzo cinese. Ma c’è una sorpresa: i cocktail in chiave fusion da scegliere per un aperitivo o per accompagnare la degustazione dimsumiana. L’Iwo Jima (Gin, Sakè alle Bacche Selvatiche, Homemade Sour Mix, Sciroppo di Tè, Tonica allo Yuzu), il Messico e Nuvole (Tequila al peperoncino, sakè allo yuzu sour miz e sciroppo d’agave), il Wasabi Mary (Sakè, Lime, Wasabu, Salsa di Soia e cruditè all’interno) o il Kamchatka Julep (Vodka, Sakè alle Albicocche, Bitter alle noci, Zucchero, Menta). In totale una quindicina da sorseggiare al bancone o seduti tra i tavoli all’esterno, figo neh?
E i vostri ristoranti etnici preferiti di Milano quali sono?