“Il quadro commerciale per le arance si conferma negativo”. Il bollettino dei mercati Ismea, reperibile sul sito dell’istituto, è quello della terza settimana di marzo, ma non è molto diverso da tutti gli altri emessi dall’inizio dell’anno a oggi. Molta offerta, poca domanda: l’arancia italiana, e gli agrumi in genere, non tira più, surclassata da quella di importazione e schiacciata dalla crisi e dalle leggi di un mercato crudele.
Giunti quasi al termine della stagione, e in attesa di dati ufficiali che già si annunciano da brivido, soppesando i numeri della scorsa annata, le proiezioni di quella in corso e il grido di dolore dei produttori italiani, le maggiori organizzazioni agricole hanno cominciato a farsi sentire: “La strage delle arance, addio spremuta” è il film che manda in onda Coldiretti, “Siamo spremuti come agrumi” il refrain degli associati a Confagricoltura.
I numeri aiutano in realtà a capire che gli slogan sono azzeccati: produzione a picco, consumi in calo, export schiacciato dall’import, prezzi alla produzione da fame. E l’arancia spagnola, la più importata nella penisola, se la ride.
Arance Italiane a rischio: molta offerta, poca domanda
Le Arance Scomparse
Una pianta su tre tagliata negli ultimi 15 anni. Forse basta quest’unico dato, il 31% in meno, per capire il fenomeno della strage delle arance, ma può essere utile conoscerne anche altri: ma come il dimezzamento dei limoni (-50%) e la riduzione del 18% delle piante di clementine e mandarini. I motivi stanno nella politica della concentrazione della superficie coltivata, che ha prodotto il passaggio dai 181mila ettari di terra dedicata agli agrumi nel 2000 ai 148.157 (dati Istat) del 2015. Il 20% in meno.
E la produzione è andata di conseguenza: se un lustro fa sfiorava le 4 milioni di tonnellate di agrumi, oggi si è assestata sui 3,3 milioni. A dominare il mercato italiano sono Sicilia (85mila ettari), Calabria (oltre 37mila) e Puglia (quasi 10mila), che sono però, va da sé, anche le regioni che soffrono di più la crisi.
La Crisi delle Arance Italiane
Non è una novità e non riguarda solo gli agrumi e la frutta in genere, ma i numeri cominciano a far intravedere il punto di non ritorno: la differenza tra import ed export, nel settore delle arance, è oggi pressoché incolmabile.
I flussi in entrata di prodotti agrumicoli, recitano i dati Istat elaborati dal Monitor F&V di Agroter, hanno fatto registrare nell’annata 2014-15 movimentazioni per 364 milioni di euro e 467.986 tonnellate: il principale fornitore dell’Italia è la Spagna (60% del totale), seguita da Marocco, Turchia e, in controstagione, da Argentina e Sudafrica. Discorso opposto per i flussi in uscita: dalle 344.009 tonnellate del 2010 alle 250.622 del 2015. Una bilancia negativa di 178,8 milioni di euro e 217.363 tonnellate racconta un’Italia rassegnata all’importazione nonostante le sue arance vengano ancora considerate un’eccellenza.
I Consumi: sempre Meno Spremute tricolori
I consumi degli italiani non si sottraggono a questa spirale negativa: le arance fanno registrare meno di 15 chili a persona all’anno, nel rispetto di un trend negativo che ha visto negli ultimi tre lustri l’agrume scendere di oltre il 20%, coi mandarini a superare il 50% e solo le clementine, mosca bianca nel settore, crescere, seppur leggermente. L’unico dato positivo, ma relativamente, è l’aumento dei prezzi medi delle arance, passati dai 73 ai 78 centesimi al chilo.
Relativamente positivo, perché se si va all’origine, il prezzo pagato ai produttori, ecco venir fuori una delle più importanti pecche del settore: il prodotto viene comprato a costi irrisori, secondo l’ultima rilevazione Ismea il 30% in meno rispetto a un anno fa, in linea col generale crollo dei prezzi originato da vari fattori, dal clima agli accordi Ue con alcuni paesi nordafricani in difficoltà. E così, nel Paese che scandalizzò il mondo nel 2011 con la vicenda del caporalato di Rosarno, capita ancora, come di recente denunciato da Confagricoltura, di vedersi corrispondere – è successo in Sicilia – 6 centesimi per un chilo di arance.
Gli appelli contro la Strage delle Arance italiane
Arrivano dalle organizzazioni del settore, mobilitate contro quella che pare una lenta, inesorabile agonia. Se Confagricoltura lo scorso gennaio ha riunito a Massafra, nel Tarantino, gli stati generali del settore e radunato produttori da tutto il sud, Coldiretti a inizio marzo ha fatto convergere i suoi associati a Catania e indetto una giornata contro la strage delle arance italiane.
“Il trend cui stiamo assistendo ha effetti pesanti sul piano economico e occupazionale per le imprese agricole, ma anche dal punto di vista ambientale e per la salute dei consumatori”, è il pensiero del presidente nazionale Roberto Moncalvo, che ha anche osservato come “a un anno e mezzo dall’approvazione da parte del Parlamento della legge che aumenta la quantità minima di succo nelle bibite a base d’arancia dal 12 al 20%” non sia stato ancora emanato il decreto applicativo.
In viaggio verso Dubai
In un quadro così poco incoraggiante, uno spicchio di sole brillante quanto un’arancia italiana doc fa capolino sulla Calabria. È partito a fine marzo dal porto di Gioia Tauro ed è arrivato a Jabel Alì il 5 aprile il primo carico di arance calabresi destinato a Dubai. Coltivate nella piana di Rosarno-Gioia Tauro, sono state confezionate e spedite da un’azienda che aderisce alla rete di Campagna Amica già fornitore per la grande distribuzione con il marchio Fai (Firmato agricoltori italiani). Un piccolo, importante passo di una ripresa che sembra difficile ma qualcuno, evidentemente, ancora vuole.